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rassegna stampa

Zeman e gli esoneri, Verratti e l’Europa. Un tuttofare con il nome da predestinato

Per Di Francesco cinque anni alla Roma: quattro da giocatore, uno vissuto da team manager

Redazione

Uno che ha iniziato la carriera di calciatore con due retrocessioni consecutive (dalla A alla Serie C1 con l’Empoli) e che ha avuto il coraggio di dire no alla prima convocazione in azzurro per giocare uno spareggio per restare in A (con il Piacenza), non può certo avere paura ora di fare il grande salto. Perché nella carriera di Eusebio Di Francesco le difficoltà non sono mai mancate, ma lui è sempre riuscito ad uscirne vincente.

Di Francesco è stato anche esaltato e buttato via, ma ogni volta si è rialzato più forte di prima. Da allenatore è successo dopo gli esoneri con Lanciano, Lecce e Sassuolo ("Mi sono guardato dentro e ho capito dove ho sbagliato. per non rifare poi gli stessi errori. Ma senza perdere mai la voglia di allenare"). Da giocatore proprio a Roma, dove arriva nel 1997 per volere del suo maestro Zdenek Zeman, e dopo due stagioni con il boemo e la prima vissuta con Capello, deve accontentarsi delle briciole nell’anno dello scudetto del 2001. Lui si accontenta, ci mette tutto se stesso, senza mai una polemica. E comunque contribuisce alla vittoria del titolo, il suo unico grande trionfo.

Da Empoli sono partiti alcuni dei tecnici che hanno lasciato il segno, in un senso o nell’altro, nella Roma. Montella, per esempio. E poi proprio Spalletti. Adesso tocca a lui, a Di Francesco, che finora da allenatore può vantare di aver valorizzato due dei migliori giovani azzurri, Verratti e Berardi. Ma non solo, perché i successi sono arrivati anche sul campo. Come la promozione in B del Pescara poi lasciato al mentore Zeman o il Sassuolo portato prima in A e poi addirittura in Europa.

(A. Pugliese)