Se è vero che il derby è un romanzo, quello che stasera scriveranno Roma e Lazio ha tutti i crismi della grandezza e il rischio inevitabile della incompiutezza. Scomodando la nobiltà letteraria, la squadra di Luciano Spalletti potrebbe essere «Alla ricerca del tempo perduto» di Marcel Proust e quella di Simone Inzaghi a «L’uomo senza qualità» di Robert Musil. Entrambi questi capolavori non furono terminati, ricorda Massimo Cecchini su "La Gazzetta dello Sport".
rassegna stampa
Roma da rimonta, Lazio da ripartenza. Romanzo popolare tra soldi, ansia e gol
Torna l’entusiasmo sugli spalti. Spalletti punta sulla vena di Dzeko, Inzaghi sugli sprint di Immobile: 53 centri in due
Ad osservarli ci sarà un Olimpico magari non all’altezza dei giorni più belli – i paganti saranno circa 45.000, vedremo gli omaggi – ma di sicuro caldo come si conviene. L’impressione è che di tifo ce ne sarà bisogno su tutti i fronti. Infatti, la vittoria della Lazio nel derby d’andata ha materializzato uno dei luoghi comuni del calcio, ovvero che le stracittadine sfuggono alle previsioni. Logico considerare la Roma almeno la seconda forza della Serie A e la Lazio una incognita. Se a questo si aggiunge che, alla sfida dell’andata, i giallorossi si erano presentati psicologicamente più forti anche grazie al successo nel primo derby di campionato, l’esito del match di marzo è stato imprevisto. Ma proprio la solidità complessiva della Roma sulla carta non renderebbe miracolosa una rimonta.
Se numeri del tifo, peso economico e qualità della rosa danno fiducia alla Roma, c’è anche la variabile rappresentata dallo straordinario duello fra attaccanti. Da un lato Dzeko, coi suoi 33 gol stagionali in giallorosso, è entrato nella storia del club; dall’altro Immobile, forte di 20 reti, è il simbolo di una resurrezione. In fondo, entrambi sono perfetti per la partita che li attende. Spalletti ha bisogno di un ariete tecnico per sfondare, mentre Inzaghi di un velocista per ripartire. Per contrastare Felipe Anderson e Keita, Spalletti potrebbe decidere di cambiare pelle, accantonando la retroguardia a tre per tornare all’antico 4-2-3-1, che profuma di centrocampo più folto e soprattutto di passato.
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