A pensarci bene i loro soprannomi nascondono una sofferenza, una qualche forma di bullismo o di discriminazione, perché cos’altro volete che sia pensare di decidere il destino di un ragazzo in base all’aspetto fisico, fino a chiudergli le porte perché «no, quello è troppo basso, è un nanerottolo, una Pulce». E quell’altro poi, «come mai potrà fare gol e disimpegnarsi tecnicamente, pare un lampione!». Già, la Pulce e il Lampione. Sembra il titolo di una favola di Esopo, scrive Davide Stoppini su "La Gazzetta dello Sport". Edin Dzeko è quello alto, Leo Messi quello basso. Eccole qui, le facce da copertina di Roma-Barcellona.
rassegna stampa
Dzeko-Messi, i gol fondati sulla sofferenza. Edin e Leo, centimetri di classe
Il Lampione e la Pulce più forti dei loro "limiti" fisici: il bosniaco non ha mai battuto il rivale, che a Roma ha vinto la sua prima vera Champions
Edin da ragazzo/centrocampista faticava ad accoppiare due passaggi giusti consecutivi, le stesse difficoltà che la sua famiglia aveva nel mettere insieme il pranzo con la cena, ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia: "Vivevamo in 12 in 37 metri quadri, mio padre non c’era perché era al fronte, non sempre avevamo abbastanza cibo", raccontò un giorno alla Gazzetta. La sua gioventù l’ha passata in un seminterrato di Sarajevo, la famiglia non volle espatriare. La scelta opposta di Messi, che il 17 settembre 2000 prese un volo dall’Argentina con papà Jorge per inseguire l’oro nel pallone. La scelta fu obbligata. Il piccolo Lionel non cresceva, il dottor Schwarzstein gli promise: "Diventerai più alto di Maradona". Però la cura di ormoni della crescita costava oltre 1.000 dollari al mese, l’Argentina fu travolta da una crisi economica tale che costrinse papà Jorge ad attraversare al contrario l’oceano che suo nonno Angelo, marchigiano di Recanati, navigò alla fine dell’Ottocento.
Anni Ottanta, sedici mesi di differenza, da bambini giocavano con i Masters. Oggi un Master potrebbero tenerlo entrambi su come si diventa calciatori, persino ambasciatori Unicef. Fossimo all’università, la materia sarebbe «teoria e tecnica di un gol». Messi ne ha segnati 17 negli ultimi 18 incontri di Champions, Dzeko è il termometro della felicità giallorossa: il 58% delle reti in questo torneo hanno il sottotitolo bosniaco, 5 gol e 2 assist. Leo all’Olimpico ha vinto la sua prima Champions, nel 2009. No, non è un errore: perché è la prima che sente davvero, quella del 2006 a Parigi neppure la festeggiò. Edin di Roma s’è innamorato sbattendo in faccia la porta al Chelsea a gennaio, poi a marzo ha eliminato lo Shakhtar e una settimana fa all’arbitro del Camp Nou ha mandato a dire: «Non ha avuto coraggio a fischiarmi il rigore». In 9 partite ha creato 12 occasioni da gol per la Roma, contro le 15 di Leo, uno che centra lo specchio della porta il doppio del bosniaco (22 volte contro 11). Messi però, in 9 trasferte contro club italiani di Champions, ha segnato solo in due occasioni, al Milan. Ma il problema vero ce l’ha Dzeko, che ha incrociato in campo Leo 7 volte: sei sconfitte e un pareggio. Stasera non gli basterebbe neppure la prima vittoria. Servirebbe un sei al Superenalotto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA