Eusebio Di Francesco e Jurgen Klopp: fra i due ci sono molte similitudini. Per le origini sul campo, anche se Di Francesco era in assoluto un po’ più bravo, per la cultura del lavoro e per le idee di gioco, scrive Gianfranco Teotino su Il Messaggero. La differenza principale sta nel fatto che Klopp è un estremista nato. Non è uno che cerchi di passare inosservato. La sua risata è contagiosa, per quanto talvolta un po’ sguaiata. I comportamenti in campo sono sopra le righe. La comunicazione improntata al sarcasmo. Spesso sembra più un allenattore che un allenatore, buca il video anche negli spot pubblicitari.
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Difra, un Klopp al cuore
La lunga gavetta, il culto del 4-3-3, lo spettacolo come base del risultato: due allenatori così diversi, così uguali
Di Francesco preferisce presentarsi sereno e composto, pure quando avrebbe buone ragioni per non esserlo. Durante le partite è coinvolto, ma impeccabile.
Si assomigliano di più le loro squadre. Più verticali che orizzontali. Sì a possesso palla e azioni dal basso, no al tikitaka, almeno nella sua impostazione originale. Il calcio di Klopp è così, “heavy metal”, come lui ama definirlo, fin dall’inizio. Il calcio di Di Francesco invece si sta tuttora evolvendo: era più armonico ai tempi del Sassuolo – con pressing saltuario e squadra talvolta un po’ allungata – più aggressivo e meno dipendente dalle linee guida del 4-3-3 classico oggi. Klopp ha in qualche modo (re)inventato il gegenpressing, cioè la riaggressione, il pressing lanciato appena perduto il controllo del pallone, cui segue la verticalizzazione immediata che poi, da quando non c’è più Coutinho, è l’unico modo di attaccare del Liverpool. Di Francesco preferisce alternare fasi di pressing alto ad altre più dedicate alla chiusura delle linee di passaggio.
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