Ormai si parla da tempo di spending review, di contenimento dei costi, a partire da quello molto oneroso del monte ingaggi dei calciatori, ma ben undici club sui 20 della serie A sono fuori dai parametri del fair play finanziario voluto dall’Uefa ed entrato in vigore quest’anno. Il pareggio dei costi/ricavi, viene di fatto disatteso nel momento in cui il monte ingaggi è la voce primaria di costo aziendale e supera questo limite percentuale. Il rapporto tra queste due voci non deve superare il 70 per cento. Ci si viene a trovare di fronte ad un palese sbilanciamento finanziario, che porta, nel tempo, a far registrare “rossi” anche di forte entità. Il contenimento dei costi è la parola d’ordine da seguire per tutti i presidenti, ma, nei fatti, un patron su due sottovaluta il problema continuando a pagare cifre a sei zero per “rose” imbottite di stranieri e dando poco spazio al vivaio.
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Unica eccezione l’As Roma (83,76 per cento), che ha l’alibi di aver potenziato i costi gestionali, per allestire una squadra competitiva in campionato, Coppa Italia e in Europa.
L’oscar negativo spetta a Genoa e Sampdoria, che, rispettivamente si presentano con un rapporto costi del personale/fatturato netto, pari a 122,78 e 111,01 per cento.
Singolare che dei restanti nove club fuori dai parametri del fair play, ben sette di questi siano piccoli-medi club di calcio. Come riporta il Corriere dello Sport, uniche eccezioni l’As Roma (83,76 per cento), che ha l’alibi di aver potenziato i costi gestionali, per allestire una squadra competitiva in campionato, Coppa Italia, ma, soprattutto, in Europa, e l’Inter, nel pieno di una articolata operazione di ristrutturazione aziendale (del valore di oltre 230 milioni di euro), che porterà, presumibilmente a giugno, ad una serie di partenze e all’adozione di un modello gestionale dei calciatori in netta antitesi con le spesi folli del periodo del “Triplete” (stagione 2010).
Con il suo 49,39 per cento nel rapporto tra le due voci, l’Udinese conferma che si può provare a fare impresa nel mondo del calcio, senza sforare i vincoli imposti dal fair play finanziario. Sempre sotto il livello virtuoso del 50 (49,85 per cento) è il Cagliari. Sul podio ideale il Napoli di Aurelio De Laurentiis, in lotta per il terzo posto in campionato, che presenta un lusinghiero 57,46 per cento. Un termometro dello stato di salute positivo del club partenopeo, da oltre sei anni in utile. Sulla buona strada Lazio (60,39 per cento), Milan (61,32 per cento) e Juventus (65,89 per cento), al di sotto della soglia di avvertimento, ma con un grande futuro collegato allo sfruttamento dello stadio di proprietà.
I club di calcio italiani devono ridurre drasticamente le rose puntando esclusivamente su calciatori di qualità e sul potenziamento del settore giovanile. Un processo, quest’ultimo, che non può essere procrastinato all’infinito, ma deve partire, al massimo, nei prossimi 6-12 mesi, in modo indistinto in seno a tutti i club di A, utilizzando il campionato di B per far crescere le giovani promesse che non troverebbero spazio nella massima serie, sempre più a “trazione” straniera. Solo facendo lievitare gli introiti commerciali (da botteghino, commerciali, diritti audiovisivi, ecc.) si può controllare la voce dei costi del personale, provando ad acquistare, soprattutto nelle società che partecipano alle competizioni europee, i cosiddetti top player.
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