(Il Romanista) Paolo Franchi: "Sono soddisfatto. Ho sempre pensato che la Roma oggi non avrebbe potuto contare sulla proprietà italiana o meglio romana. Le grandi realtà, le grandi cordate, i grandi investimenti non ci sono più.
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Roma Americana: il pensiero dei tifosi Vip
(Il Romanista) Paolo Franchi: “Sono soddisfatto. Ho sempre pensato che la Roma oggi non avrebbe potuto contare sulla proprietà italiana o meglio romana. Le grandi realtà, le grandi cordate, i grandi investimenti non ci sono più.
E con DiBenedetto non stiamo parlando solo dello zio americano e l’arrivo dei dollari, ma stiamo parlando, se le cose che si leggono e si dicono sono vere, di un grande progetto. Una idea di mondializzazione del marchio e dell’immagine che è qualche cosa di più del gadget, del cappellino e del punto vendita Roma store per intenderci. E’ il salto di qualità che disegna tutto in un’altra ottica. O che dovrebbe. Vedere il rafforzamnto della società in primo luogo, e poi il rafforzamento della squadra, e il discorso stadio correlati non può che non far piacere al tifoso. Poi vedremo i vari passi e i vari tasselli che saranno fati. E da lì capiremo se il discorso è realmente quello del salto di qualità o meno. Certo sono anche curioso di vedere un cambiamento nel vero rapporto tifoso-Roma, tifoso stadio. Continuiamo infatti a dirci tra noi che iamo i tifosi migliori del mondo e che come noi non c’è nessuno... ed è vero... e la penso così... ma è anche vero che gli altri tifosi in Spagna e Inghilterra non sono poi così da meno. All’Olimpico ci sono ormai trentamila persone scarse. A Londra o Madrid o Barcellona gli stadi sono pieni. Insomma speriamo bene. Le premesse per una grande Roma ora ci sono. Aspettiamo. Non sarà un progetto a breve termine. Del tempo ci vorrà."
Cesare Pambianchi: «Cosa ne penso dell’arrivo di capitali americani nella Roma? Ma i nomi del futuro presidente giallorosso e di quelli che sono con lui sono italiani, quindi è un’attenuante. Scherzo ovviamente». Cesare Pambianchi, presidente di Confcommercio Roma e di Confcommercio Lazio risponde con una battuta alla domanda su un imminente passaggio di proprietà della Roma che a ore dovrebbe passare nelle mani di Thomas Di- Benedetto. Poi però torna subito serio facendo un’analisi del momento che ha vissuto la società giallorossa negli ultimi mesi: «La verità è che la situazione societaria della Roma non poteva più proseguire come negli ultimi tempi. Cioè con da una parte la passione dei Sensi e dall’altra gli interessi di una banca. La Roma soffriva di difficoltà finanziarie, non di mancanza di passione da parte dei suoi tifosi o del suo presidente». E ora? «Ben vengano gli americani – prosegue Pambianchi -. L’importante è che si metta fine a questa trattativa in cui hanno trattato questa società come un’azienda qualsiasi, come una società che produce pomodori... Ma il calcio non è così, è passione». Il presidente di Confcommercio dimostra poi di non avere preclusioni per il fatto che al vertice della As Roma non ci siano italiani: «L’arrivo di capitali stranieri? Questa è solo l’ultima fase evolutiva del calcio, la meno dolorosa. Ben vengano i capitali stranieri, non ci trovo nulla di male, nulla di pericoloso. Anche io ebbi delle resistenze nei confronti dei capitali stranieri per quanto riguardava Alitalia. Ma qui la situazione è diversa. Arrivano nuove risorse e la passione resta ». Poi nello specifico su DiBenedetto: «So quello che ho letto, credo che sia solido. Vogliono sviluppare commercialmente la Roma? La verità è che non si possono più separare lo sport ad alti livelli e la finanza. E allora ben venga se qualcuno sfrutta anche il lato commerciale della Roma».
Giacomo Losi: «L’arrivo degli americani? Spero che significhi qualcosa di buono dal punto di vista societario. Gli faccio i miei auguri, perché penso che avranno molto da lavorare per mettere in piedi una squadra che possa dirsi realmente competitiva ai massimi livelli, come peraltro questa città merita di avere». E’ ottimista Giacomo Losi, com’è del resto nel suo spirito. Sa che l’acquisto della Roma da parte della cordata guidata da Di Benedetto può rappresentare un momento di svolta nella storia di questa città. E’ per questo che aggiunge: «Prima ancora che alla squadra, ci sarà da mettere mano alla struttura della società. Deve poter funzionare al cento per cento. Soprattutto se si vuole essere alla pari con le più grandi, sia in campo nazionale che internazionale ». Tra i compiti della nuova società anche quello di gestire al meglio il patrimonio di cui è in possesso: «A cominciare dal potenziamento e la valorizzazione del settore giovanile, che può essere un serbatoio importante, come lo è per altre grandi squadre». Guardare quindi avanti con le giuste ambizioni, sapendo anche da dove si viene. «Riconosco ai Sensi di aver fatto tanto negli anni in cui sono stati alla guida della Roma. Ma, se possibile, dai nuovi che arrivano mi aspetto ancora di più. Penso che abbiano le competenze e soprattutto le risorse per farlo, ma anche le migliori intenzioni da cui partire». E se la signora Maria Sensi, giorni fa, ha detto che sarà forse difficile chiedere ai nuovi proprietari di avere lo stesso amore per la Roma, non essendo nati qui, Giacomino Losi – che nella Capitale non è nato, ma se ne è innamorato come pochi altri – si augura invece che «anche loro diventino tifosi di questa squadra, perché se oltre a mettere le capacità manageriali, si condivide la stessa passione dei tanti che la seguono e la amano, si ottiene l’ideale. Perché essere tifosi, lo ricordo, significa sempre poter fare qualcosa in più».
Massimo Ghini: «Parafrasando Sordi, è finalmente “Un Americano a Roma”. E lo dico nell’accezione più positiva della parola». Non poteva non partire da una citazione cinematografica, Massimo Ghini, nell’esporre il proprio pensiero intorno all’arrivo del nuovo presidente. «Il nome è di buon auspicio. A Roma ne abbiamo già un altro, di Benedetto, anche più importante. Mi auguro che anche il nostro Thomas, con la sua firma, di cui aspetto comunque l’ufficialità, sia altrettanto “benedetto”». Un atto, quello del passaggio di consegne, che è stato a lungo atteso: «Se è per questo – dice Ghini - è una storia che ci è costata sudore e lacrime». E cosa voglia dire è chiaro: «Che la Roma passerà – magari con un po’ di malinconia, anche positiva – da una gestione familiare, un po’ all’antica, ad una ristrutturazione, certamente meno romantica – anche per chi, come noi, ha vissuto la “Rometta” – ma più al passo coi tempi». C’è però bisogno, secondo l’attore, di una crescita collettiva: «Mi aspetto un salto in avanti da parte di tutti: la società, la squadra e anche noi tifosi. Dovremmo smetterla di pensare che “arriva lo zio Paperone” ed entrare in un’ottica diversa. Che non significa non essere più tifosi. Semmai, essere consapevoli che ciò che dobbiamo chiedere è un’organizzazione diversa della società e della squadra. Perché solo così si può tornare a raccogliere risultati. Avendo comunque coscienza che qualcosa di importante si è fatto e qualche paginetta è stata scritta, in questa città. E che da qui, se lo si merita, si deve ripartire per diventare una di quelle squadre che fanno la storia, oggi, del calcio mondiale». Senza ovviamente buttar via un patrimonio fatto di passione ed emozioni: «Anzi, rendendone partecipi anche loro, gli americani. Che saranno inizialmente un po’ stupiti da tante manifestazioni, ma capiranno presto cosa vuol dire essere alla guida di una società che ha accanto una tifoseria come questa. Per cui dico: “Lasciamoli lavorare perché ci facciano divertire”».
Paolo Cento: Questione di ore e Di Benedetto diventerà il nuovo proprietario della Roma. Paolo Cento, presidente del Roma Club Montecitorio, vive il momento «con molta trepidazione, attesa, speranza e un forte sentimento di gratitudine verso la famiglia Sensi » dice. Poi spiega: «Nonostante le polemiche che hanno accompagnato la loro gestione, credo sia importante che questa città debba rendere l’onore della armi a chi lascia e lo fa avendo costruito una grande squadra. Chi arriva, invece, dovrà lavorare per renderla migliore e gettare le basi per un futuro ancor più radioso e vincente». E da uomo politico? «Siamo di fronte ad una possibile rivoluzione nel mondo del calcio. Desidero che questa prima volta di imprenditori stranieri in una società importante come la Roma porti ad un cambiamento del sistema e, possibilmente, gli permetta di diventare più pulito. Con i nuovi manager ci sarà meno romanità ma dovranno fare i conti con i sostenitori giallorossi e agire in modo oculato e rispettoso. Ognuno dovrà fare la sua parte, a cominciare dalla costruzione del nuovo stadio: un progetto importante ma che non dovrà essere una speculazione». Infine, i desideri: «Una politica che riavvicini gli appassionati allo stadio. Una politica che punti sull’abbassamento del costo dei biglietti e trovi una soluzione per la tessera del tifoso: una card che non esiste in nessuna parte del mondo. Poi vorrei una Roma forte, di grande campioni ma che non perda il riferimento delle sue bandiere. Vorrei una Roma che possa primeggiare ovunque ma che non perda la sua anima romana e romanista. Totti e De Rossi sono due risorse fondamentali e attorno a loro bisognerà assemblare la squadra del presente e quella dell’immediato futuro. Lo ripeto: il “romanesimo” deve essere il punto focale anche della nuova gestione».
Darwin Pastorin: Viviamo in un mondo globalizzatoenonpossiamopensarepiùsoloall’Italia. E’chiaroche, tantoper fare un esempio che qui a Torino lascia molto perplessi, il fatto del trasferimento della Fiat a Detroit preoccupa. Perché vuol dire tante cose: a partire dalla ’vendita’ di una città e la fine di una storia con ciò che ha significato nell’immigrazione dal sud e la vita stessa di una classe operaia. Ma dobbiamo anchepensarechenellesocietàdi calcio - dove la storia indubbiamente c’è - già sono presenti, con delle percentuali, gli investimenti stranieri. E non è colpa di nessuno se sono solo gli stranieri oggi a credere e investire nel calcio. Guardate La Pay Tv con Murdoch, australiano e Tom Mockridge, neozelandese. Lorohannocredutoegestisconoidiritti. Hannovistoilbusiness. CairodicechevuolevendereilTorino, maachi? Gliitaliani non investono nel calcio. Dunque anche per la Roma si verifica questa situazione. Gli stranieri poi sono più abituati degli italiani ai piani industriali e agliaffari. Nonmettonosolditanto per metterli. Vogliono gli utili. L’idea di prendere Buffon dalla Juventus, cosa che mi fa male a pensarci, fa parte di un disegno e queste voci sono un segnalefortedichiaraintenzione di fare bene e costruire un grande progetto internazionale. Chi non conosce Totti e Buffon nl mondo? Chi non conosce il nomeRomanelmondo? Nonc’èbisogno di tradurlo, non c’è bisogno di spiegare all’America, alla Cina o a nessuno il perché si è acquistatolaRomae, conessa, ilbranddellacittàeternadasfruttare. In definitiva se fossi romanista sarei tranquillo. Gli americani faranno una grande squadra e proveranno a vincere a livello internazionale facendo fare un grosso scatto di mentalità e di qualità ad una squadra già molto forte e conosciuta. Come è stato già fatto nel calcio inglese. Certo poi i risultati sportivi non sono scontati a priori. Ma le basi perché questi arrivino saranno ben altre, vedrete.
Enzo Foschi: Vicepresidente della commissione sport della Regione Lazio, politico da sempre vicino allo sport e alla Roma, Enzo Foschi dice la sua sull’arrivo degli americani: «L’altra sera, alla festa per i dieci anni dell’Utr (unione tifosi romanisti, ndc), credo che Maria Sensi abbia fatto un quadro perfetto della situazione dicendo: ‘gli americani non ci possono dare amore, speriamo nelle vittorie’. Mi auguro che, oltre a mettere i soldi, DiBenedetto sia una persona che voglia contribuire a svecchiare il calcio italiano e ogni giorno che passerà qui possa contribuire a farlo innamorare sempre di più della nostra città». Da politico, invece, ecco la sua opinione: «Per prima cosa è importante che capitali stranieri entrino nel calcio italiano, soldi che sono svincolati da determinati equilibri politici e dal sistema economico interno. Purtroppo, siamo abituati a vedere un mondo del calcio stantio, fondato su tre grandi società che da sempre dettano regole e agiscono di conseguenza. Ci sono numerosi tabù da infrangere e penso che la cordata americana possa operare anche sotto quest’aspetto. Se verranno col chiaro intento di fare un investimento serio, vorrà dire che finalmente respireremo una boccata d’aria fresca e ci sarà una rivoluzione rispetto al passato ». Che cosa vorrebbe dagli americani? «Vorrei un segnale bello, un qualcosa che vada oltre gli aspetti prettamente economici. Sarei felice che al centro del loro progetto ci potessero essere i tifosi e che si crei un collegamento forte fra la nuova dirigenza e i sostenitori romanisti. E poi, sogno una società che, pur diventando efficiente, non perda la poesia. Mi auguro che nel giro di due, tre anni si possano fare dei salti in avanti importanti. Senza mettere in discussione l’attuale dirigenza, alla quale non posso che essere riconoscente per quanto fatto fino ad oggi, desidero vedere una rosa qualitativamente più importante. Insomma, che possano esserci dei colpi di mercato all’altezza delle aspettative che hanno i tifosi».
Giovanni Malagò: «Cosa penso dell’arrivo degli americani? Non bisogna essere prevenuti, ma al contrario accompagnare con speranza questa innovazione». Così Giovanni Malagò, presidente del circolo Canottieri Aniene alla vigilia del giorno che potrebbe essere risolutivo per il passaggio di proprietà della Roma che a ore finirà nelle mani di Thomas DiBenedetto. «Di natura sono ottimista – spiega Malagò a Il Romanista -, ora lo sono più che mai». Ottimista perché vede in questa cessione una opportunità importante per la Roma: «Se la banca ha valutato che questa operazione è la migliore possibile al momento, allora credo che il popolo romanista debba essere tranquillo». Con l’arrivo degli americani si ha l’impressione che possa cambiare il modo di gestire le società di calcio e gli investimenti. «Sì, in teoria si cambia – spiega Malagò - .Perché conosco il tipo di cultura di chi ha questa formazione professionale. Dovrebbe arrivare un certo sviluppo». Perché in teoria? «Perché il nostro Paese a volte ci riserva delle sorprese. A volte si incontrano molte difficoltà a sviluppare un settore per tutta una serie di impedimenti... ». Forse sarà anche per questo che i tifosi da un lato sono speranzosi e dall’altra timorosi del cambiamento: «I tifosi devono essere consci del fatto che questa è la migliore carta spendibile in questo momento storico. E’ inutile inseguire delle chimere». «Non bisogna essere prevenuti – conclude Malagò -. Anzi, bisognerà dare delle possibilità nel medio termine per poi fare delle valutazioni complessive del lavoro svolto. Insomma, sarà importante che si creino i presupposti per sviluppare un progetto».
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