rassegna stampa roma

Riserva scudetto

(Il Messaggero – U.Trani) L’immagine è nitida, su uno dei campi di Trigoria. C’è un bel sole. Ma resta la stessa quando è buio o piove.

Redazione

(Il Messaggero – U.Trani) L’immagine è nitida, su uno dei campi di Trigoria. C’è un bel sole. Ma resta la stessa quando è buio o piove.

Eccoli lì i ragazzini, l’Aeroplanino e tanti palloni. In fondo il calcio è prima di tutto un gioco. Vincenzo Montella vive le sue giornate con un gruppo di quattordicenni vestiti di giallorosso, colori che anche lui indossa ormai da dodici anni. E’ come se fosse rimasto bambino. L’identica passione dei suoi inizi in strada a Pomigliano d’Arco, anche se a Coverciano sta studiando per avere il Master da allenatore, la professione del suo futuro. Il prossimo 18 giugno festeggerà i suoi 37 anni, dieci dopo l’ultimo scudetto della Roma del 17 giugno del 2001. Il 18 giugno brinderà ai suoi 65 anni pure Fabio Capello, l’allenatore del terzo scudetto, vinto con il turn over in attacco, quattro uomini e non più di tre titolari: Batistuta, Totti, Delvecchio e Montella. Proprio il percorso che sta replicando Ranieri con il suo poker d’assi: oltre al capitano, Borriello, Vucinic e Menez.

Vincenzino è quello che meglio conosce la rotazione. «Lo chiamai turn never, con una battuta che ancora mi piace molto: stavo sempre fuori io». Ma è anche quello che, giocando la ripresa di Juve-Roma del 6 maggio del 2001, realizzò la rete del pari al fotofinish che pesò tantissimo in quel campionato. «Diciamolo pure: almeno mezzo scudetto». Parere da intenditore: come si sta in panchina? «Io la vivevo male. Toccava sempre a me. E non leggevo nelle decisioni del tecnico che lui premiasse la meritocrazia. Magari qualche volta poteva anche aver ragione, molte no». Dieci anni dopo, da Capello a Ranieri, altri panchinari sbuffano. Se li incontra a Trigoria, che cosa dice loro? «È diverso da allora. Ripeto: l’escluso ero sempre io». Mettiamola in un altro modo: dia loro qualche consiglio. Come superò quei momenti? «Alla fine mi sono convinto che era la qualità a fare la differenza in una partita e non i minuti giocati. Resta quello che fai in venti minuti o anche meno. Comunque il calciatore moderno deve convivere con la realtà del turn over». E’ giusto arrabbiarsi per un’esclusione? «Sì. Lo dico anche da allenatore. Un giocatore che smania, che si infuria, che esterna il suo malumore dimostra la sua voglia di lottare, di conquistare il posto, di esprimersi al massimo. Basta, però, comportarsi da professionisti. Se vai in campo incazzato, dai sempre il meglio». Dicono che fosse la strategia di Capello: se Montella entra dopo, è sempre decisivo perché vuole dimostrare all’allenatore che sbaglia a tenerlo fuori e scarica tutta la sua rabbia in partita. Vero? «Se lo sento dire, mi arrabbio oggi proprio come quando giocavo. Io anche da titolare lasciavo il segno: quando Batistuta si fece male a Vicenza e io presi il suo posto per quattro gare segnai sette reti». Era geloso dei compagni? «No. E non ho mai provato invidia che è una malattia. Ma può accadere. Non a me». La lite più brutta resta quella di Napoli alla penultima giornata? «Si, mi sentii preso in giro. Mi fece scaldare tutto il secondo tempo, mettendomi in campo solo quando prendemmo il gol nel finale. E volò la bottiglietta. Lui era in trance e io persi la pazienza. Ma con Capello il rapporto è sempre stato buono, anche se a volte non ci sopportavamo. Non mi ha fatto mai andar via dalla Roma». Entrò per Delvecchio, dopo l’intervallo, a Torino contro la Juve e firmò il pari in extremis. E’ stato il suo gol più importante con la Roma? «Provo gioia ancora oggi, solo a ricordarlo. Con la palla che sembrava non entrare mai. Per me quella fu una settimana particolare: ero infortunato, Capello non mi voleva convocare e io convinsi il medico Brozzi a portarmi lo stesso. Le sostituzioni in quel caso cambiarono il risultato: entrò anche Nakata per Totti, segnando la nostra prima rete e propiziando anche la mia con un gran tiro che ingannò van der Sar». Domani nuovo viaggio a Torino: quarti di Coppa Italia, proprio contro la Juventus. La Roma è ancora in corsa su tre fronti. Sorpreso? «No. Proprio l’attacco è l’arma in più. Nessuna squadra, nemmeno il Milan ora più competitivo con Cassano, numericamente ha lo stesso potenziale offensivo. Peccato per la brutta partenza, ma Ranieri adesso sta sfruttando al meglio e con equilibrio l’organico che, essendo completo, può fare la differenza». A proposito: riesce a far digerire il turn over ai quattordicenni? «Ne ho ventotto. Faccio giocare tutti, anche se poi credo nella meritocrazia. Ma non è detto che chi fa più minuti ora arriverà di sicuro e gli altri no. Spesso accade il contrario». Quanto conta la qualità del singolo già nel settore giovanile? «Per me tantissimo. Io vado controcorrente: non guardo al fisico, ma alla tecnica, anche se sono piccolini. Li faccio allenare sempre con il pallone tra i piedi. Scompare solo per una decina di minuti al giorno. Per la tattica c’è tempo. Io a questa età li alterno in tutte le posizioni, li addestro mettendoli anche fuori ruolo».