rassegna stampa roma

Ecco il calcio made in Boston

(Corriere dello Sport – R. Zanni) – Se qualcuno qualche mese fa si fosse az­zardato a dire che Boston sarebbe diventata una pic­cola capitale del calcio l’avrebbero preso per matto.

Redazione

(Corriere dello Sport - R. Zanni) - Se qualcuno qualche mese fa si fosse az­zardato a dire che Boston sarebbe diventata una pic­cola capitale del calcio l'avrebbero preso per matto.

Adesso invece è quasi una realtà: il Liverpool e pre­sto quasi sicuramente anche la Roma, entrambe le società “made in Boston”, due proprietà con forti legami, dal momento che Thomas Di-Benedetto è anche un “ minor par­tner”, socio di minoranza, della New England Sports Ventures, il gruppo che recentemente ha acquistato il club inglese. Una passione recente quella degli americani nei confronti del calcio d'oltre oceano, ma che evi­dentemente sta diventando contagio­sa. Frank Dell'Apa, editorialista del “ Boston Globe”, grande esperto di calcio, ha seguito gli ultimi cinque mondiali di calcio, una conoscenza così profonda che l'ha fatto entrare, già nel 1997 nella “ Massachusetts Soccer Hall of Fame”. Dell'Apa, ori­gini italiane non dimenticate, parla ancora perfettamente la nostra lin­gua, ci ha dato la sua opinione su questa nuova moda che sembra abbia colpito gli americani: la voglia di calcio. Una analisi che deve far riflettere. « Innanzitutto - ci dice -devo ammet­tere che sono un po' scettico sul coinvolgimento de­gli investitori americani nel calcio europeo, special­mente nei confronti di coloro che solo da poco han­no scoperto questo nuovo gioco. Il motivo? Perchè arrivano con la cultura dello sport professionistico statunitense che adesso, ma non è stato sempre co­sì, si basa su tre punti: 1) business; 2) spettacolo di intrattenimento; 3) sport. Guardare un avvenimen­to sportivo negli USA è diventato ormai quasi insop­portabile per tutto ciò che circonda l'evento, compre­si timeout creati apposta per esigenze televisive. Nella NBA per esempio il settore del marketing ha preso il sopravvento, generando più introiti, crean­do però al tempo stesso l'esigenza di atleti più gros­si,più forti, più potenti con tutto quello che ne con­segue».IL CALCIO SI SALVA- Il calcio comunque non è, alme­no per ora, come il basket professionistico USA... «Sì, grazie alla sua natura sta resistendo a questo at­tacco- continua Dell'Apa -l'ha capito Randy Lerner con l'Aston Villa e comunque in definitiva gli inve­stitori statunitensi devono compren­dere che il loro coinvolgimento deve essere relazionato alla realtà che vanno a incontrare». C'è comunque un altro aspetto importante che di­stanzia lo sport professionistico ame­ricano da quello europeo ed il calcio in particolare: negli USA non esisto­no le retrocessioni, quindi si può pro­grammare ed eventualmente reinve­stire in modi molto diversi rispetto a quello che succede nel Vecchio Con­tinente. Ma adesso con il possibile sbarco di Thomas DiBenedetto cosa potrebbe succedere alla Roma? «In questo momento è difficile da dire, si possono solo fare paragoni con quel­lo che è successo con gli altri ameri­cani che hanno investito nel calcio, dalla famiglia Glazer con il Manchester, un caso co­munque anche particolare visto che i figli, da anni, erano tifosi della squadra. Thomas DiBenedetto qui ha sempre tenuto un basso profilo, pur essendo par­tner di minoranza della New England Sports Ventu­res, che oltre a possedere i Red Sox ha acquisito an­che il Liverpool. Ma DiBenedetto non si è mai espo­sto in prima persona, non ha mai rilasciato dichia­razioni, quindi anche per noi a Boston non è facile capire come e in quale maniera si muoverà una vol­ta che avrà concluso la trattativa. Però anche Stan Kroenke, all'Arsenal, non ha mai voluto farsi vede­re troppo, un altro “low profile” come DiBenedetto. Ma qui a Boston c'è anche John Berylson che con un piccolo investimento ha acquistato il Millwall, anti­co club londinese». Allora è proprio vero, Boston si è innamorata del calcio europeo.