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E ora i club europei comprano giocatori negli Stati Uniti

(Corriere dello Sport – S.Chioffi) – l calcio americano è in costan­te evoluzione: negli ultimi tempi ha fat­to registrare un notevole processo di crescita, accompagnato da una serie di risultati importanti a livello di naziona­le...

Redazione

(Corriere dello Sport - S.Chioffi) - l calcio americano è in costan­te evoluzione: negli ultimi tempi ha fat­to registrare un notevole processo di crescita, accompagnato da una serie di risultati importanti a livello di naziona­le e da una credibilità che ha permesso al sistema di esportare tanti giocatori nei campionati eu­ropei più com­petitivi.

Uno svi­luppo che ha ge­nerato interesse e favorito di ri­flesso anche l’in­gresso in Premier League di cinque im­prenditori statunitensi nel pacchetto azionario del Manchester United (Mal­colm Glazer), dell’Arsenal (Stan Kro­enke), del Liverpool (John W. Henry), dell’Aston Villa (Randolph Lerner) e del Sunderland (Ellis Short).

LA SVOLTA - Nel 1994, quando l’America organizzò il mondiale, erano dieci i na­zionali ad avere un contratto da profes­sionisti all’estero: Paul Caligiuri (Han­sa Rostock), Eric Wynalda (Saarbruc­ken), Cle Kooiman (Cruz Azul), Thomas Dooley (Kaiserslautern), John Harkes (Sheffield United), Earnie Stewart (Willem II), Tab Ramos (Betis Siviglia), Frank Klopas (Aek Atene), Roy Weger­le (Coventry) e Jurgen Sommer (Lu­ton). Il ct era il serbo Bora Milutinovic. E dopo quell’avventura anche altri sbarcarono in Europa: da Cobi Jones (al Coventry) a Brad Friedel (tesserato dal Newcastle), fino ad Alexi Lalas, il difen­sore- chitarrista preso dal Padova e ora dirigente della Major League, il cam­pionato degli Usa.

 

IL CAMBIAMENTO - Il calcio americano, negli ultimi diciassette anni, è stato al centro di una trasformazione radicale: sono cambiati i metodi di lavoro, è stata assor­bita una cultura europea sotto il profilo tattico. Differenze sostanziali, profonde, rispetto al 1994, quando l’America aveva provato a lanciare la sua seconda sfida nel soccer, dopo il tentativo effettuato alla metà del 1970 con i Co­smos di Pelè e Beckenbauer. Oggi quasi tutti i giocatori della na­zionale hanno un ingaggio all’estero. Di­ciannove dei ventitré convocati del ct Bob Bradley, per il Mondiale del 2010 in Sudafrica, sono vincolati a club stra­nieri. Sette si trovano in Inghilterra: i tre portieri Guzan (Hull City), Howard (Everton) e Hahnemann (Wolverham­pton), il difensore Spector (West Ham), i centrocampisti Dempsey (Fulham), Bradley (Aston Villa) e Holden (Bol­ton). Soltanto quattro “yankee” hanno un contratto con società americane: De-Merit (Vancouver Whitecaps), Findley (Real Salt Lake), Donovan e Bubble, en­trambi dei Los Angeles Galaxy, la squa­dra di Beckham.

L’ASCESA - Gli Stati Uniti hanno raggiun­to una dimensione rispettabile, come è emerso anche nell’ultimo Mondiale: in Sudafrica sono stati eliminati negli otta­vi dal Ghana durante i tempi supple­mentari. Fatale il gol di Gyan Asamoah, ex Udinese, premiato come miglior gio­catore africano del 2010. La nazionale di Bradley aveva addirittura vinto il gi­rone C insieme con l’Inghilterra, otte­nendo una vittoria e due pareggi. Ma già l’anno prece­dente, nel 2009, aveva raccolto consensi nella Confederations Cup, eliminando in semifinale la Spagna, all’epo­ca campione d’Europa (2-0, gol di Altidore e Dempsey) e facendo tremare poi in finale il Brasile, capace di sbloccare il risultato soltanto a due minuti dalla fine con Dani Alves.

IL CAMMINO - Segnali confortanti erano già arrivati nel 2002, al Mondiale in Giappone e Corea: in quell’occasione gli Stati Uniti avevano centrato la qualifi­cazione ai quarti. Ma il miglior piazza­mento degli Usa risale al 1930, in Uru­guay: il gruppo guidato dal ct Bob Mil­ler conquistò il terzo posto dopo aver perso la semifinale con l’Argentina di Guillermo Stabile, primo capocanno­niere di un Mondiale con otto reti. La medaglia di bronzo fu consegnata a ta­volino agli Stati Uniti, dopo la rinuncia della Jugoslavia a disputare la partita. Faceva parte di quella nazionale ameri­cana anche Bert Patenaude, autore del­la prima tripletta nella storia dei Mon­diali: 3-0 al Paraguay.