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“Non siamo una lavatrice”

La Comunità ebraica non accetta le scuse della Lazio: Lotito lasciato fuori dalla Sinagoga

Redazione

Ha bussato alle porte della Sinagoga di Roma per esprimere solidarietà alla comunità ebraica. Ma a ricevere Claudio Lotito, ieri mattina, non c'era nessuno. Dopo le polemiche innescate dagli adesivi antisemiti raffiguranti Anna Frank con la maglia della Roma, attaccati dagli ultrà laziali in Curva sud all'Olimpico dopo la partita con il Cagliari, il presidente della Lazio, con una delegazione del club e i due giocatori Felipe Anderson e Wallace, alle 12 in punto si è recato al Tempio Maggiore, dove ha deposto una corona di fiori sotto la lapide commemorativa delle vittime dei deportati di Roma.

All'omaggio però non hanno partecipato i rappresentanti ufficiali della comunità ebraica di Roma. "La visita non era stata concordata, la presenza di vertici istituzionali della comunità non era prevista. Quella di Lotito è un'iniziativa autonoma", spiegano dalla comunità ebraica di Roma.

E commentando la scelta di compiere un viaggio ad Auschwitz ogni anno con 200 ragazzi, annunciata dal presidente biancoceleste, aggiungono: "Oltre al gesto c'è bisogno di iniziative concrete che riguardino il mondo del calcio, dello sport e del governo". Ma per il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, occorre di più: "La Comunità non è una lavatrice né un luogo dove si presenta un omaggio floreale e si risolve tutto - attacca - Non si può pensare di aggiustare le cose facendo un'apparizione davanti a una marea di giornalisti. Servono iniziative concrete, anche repressive. C'è stanchezza e insoddisfazione nella Comunità per queste apparizioni che potrebbero sembrare risolutorie. Quelle immagini di pessimo gusto mostrano un rapporto banalizzato con la Memoria. Irrispettoso e indegno".

"Mettiamo questa gente fuori dagli stadi. Il daspo lo diano le società di calcio, non facciano più abbonamenti, non vendano più biglietti a questa gente", fa eco Ruben Della Rocca, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma. "Ben vengano le iniziative delle singole società - dice Dureghello - serve però una riflessione più ampia, che coinvolga la politica, lo sport e le società di calcio affinché il fenomeno venga definitivamente debellato".

(F,Scicchitano)