(La Repubblica - E. Sisti) Non c’è da stupirsi. I derby romani sono spesso imbuti infiniti che ingoiano talento e limiti, non sempre ripartiti equamente. I derby bruciano energie, tossine e speranze prima ancora che gli inservienti aprano lo stadio. Decine di derby hanno lasciato il segno come quello di ieri. Non proprio positivo. Ne abbiamo visti a vagonate di primi tempi rovistati dall’ansia, come fossero vecchie soffitte piene di ragnatele e di oggetti incatalogabili. Lunghi minuti in cui solo il tifo (unito soltanto prima del fischio d’inizio da un breve “highlight” del coro anti-Napoli con al centro le gesta del Vesuvio e dalla solidarietà bi-partisan per la ragazza aggredita a Roma nei giorni scorsi) è riuscito a trasmettere opposti entusiasmi dalle curve mentre il campo raccontava di due squadre insicure, forse perché impaurite, che non trovavano alcuna quadratura. Da una parte l’emblema non era l’aquila ma la confusione tattica e un Klose molto poco Klose.
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Lazio e Roma, vince solo la paura
(La Repubblica – E. Sisti) Non c’è da stupirsi.
Dall’altra, per una volta, stupiva l’imprecisione di Totti. Per venti minuti la Lazio ha pressato ma era messa così male in campo che anche lo starsene lì a dar fastidio ai primi portatori di palla giallorossi diventava un esercizio sterile (tranne quando al 18’ Klose rubava la palla a Benatia che poi si faceva ammonire nel tentativo di riprenderlo). Per colpa di uno spaesato Keita, inadatto al 4-5-1, Maicon aveva la corsia spianata e con lui, a turno sostenuto da Pjanic o da Gervinho, la Roma ha cominciato a salire, ma senza trovare continuità e rapidità. Il gol di Gervinho (25’) è causato da un tiro di Maicon che a nessun laziale viene in mente di impedire o quantomeno sporcare. Si può raccontare anche così: l’unico intervento discutibile di Berisha consegnava la palla a Gervinho che metteva in rete da posizione difficile ma partendo in fuorigioco. Alla Lazio la migliore occasione la regala De Sanctis uscendo scomposto su Lulic che liscia il pallone a porta vuota (ma era sbilanciato): Orsato vede un fallo che non c’è e chiude l’episodio (26’). Totti sbaglia ancora: una sua palla persa innesca la ripartenza biancoceleste ma Gonzalez calcia alto (36’). Poco dopo (39’) lo stadio viene informato che Pjanic sta dormendo: sarebbe un suo diritto se non stesse giocando a pallone e non fosse solo in area (assist del solito Maicon). La Lazio è già rinculata, la Roma è più rapida nel recupero palla. Ma complessivamente brutto primo tempo in cui hanno dominato i palloni svirgolati. Gervinho esalta Berisha a inizio ripresa (7’).
La Lazio ritrova Mauri che entra per Keita. Non giocava dalla finale di Coppa Italia del 26 maggio ma è un mezzo fantasma e non gli si può chiedere di più. Messa in difficoltà anche dagli inutili personalismi di Candreva, dalla partita la Lazio pretende solo una cosa: lo 0-0. La Roma di più: ora la sua manovra di aggiramento è vorticosa, Totti è più tonico, a turno c’è sempre qualcuno libero. Nel secondo tempo la Roma entra in area palla a terra almeno sette volte: mai una volta che calci pulito o sfrutti un rimpallo. La scarsa concretezza è una colpa, soprattutto in un derby del genere. Buon contributo di Bastos da esterno alto (stessa evoluzione tattica di Bale). Il brasiliano debutta sostituendo Florenzi e al 40’ va vicino al vantaggio. Negli ultimi minuti lo sbilanciamento della partita è piuttosto evidente (a parte un contropiede mal gestito da Onazi) e Garcia ammette le leggerezze sotto porta: «Siamo stati così poco lucidi al momento di concludere», ammette sconsolato Garcia che non perdona Reja per le goffe, brutte frasi di domenica scorsa con cui il tecnico laziale aveva iniziato il suo personale derby verbale. Tardive le scuse: «Io resto della mia idea», ha proseguito Garcia che se l’è legata al dito. Reja: «Nel finale me la sono vista brutta». Pensava di perdere. I due a fine partita non si sono stretti la mano.
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