Adesso, a cose fatte, non siamo neppure troppi stupiti di ricordarci a memoria quasi tutti i suoi gol: 119. Tanti. Molti eccezionali. Edin Dzeko è stato un trascinatore insolito, scrive Enrico Sisti su La Repubblica. Aveva ed ha un carattere forte, oppure al contrario è fragile ma si nasconde dietro una armatura convessa. E complessa.
LA REPUBBLICA
L’addio di Dzeko: scelta inevitabile di un campione incompreso
"Eticamente si può discutere, professionalmente, per quel che gli resta da giocare ad alto livello, forse no"
Dzeko ha smesso di essere ufficialmente della Roma dopo la lite con Fonseca. Da quel momento il treno ha deragliato. Momenti sì, momenti no. Continue voci di cessione che diventavano, gradualmente, grida vendicative. Sensazioni scomode che, sempre gradualmente, assumevano i contorni di una palese e irreversibile incomprensione, tecnica ed umana. All’inizio Dzeko sembrò un acquisto sbagliato, 20 milioni buttati. Ma Dzeko no, non poteva essere veramente l’ultima bufala. Furono duri quei primi mesi di attività. Si pensava che facesse comodo solo per la rima: con spreco. Poi la svolta. Un campione. Non uno da trenta reti a stagione, certo, ma uno capace di inventarsi un attacco sì, uno in grado di saper giocare dentro e fuori dall’area, di mettere al servizio della squadra tutte le sue conoscenze da trequartista.
Approdare all’Inter per una stagione in più di contratto, a 35 anni, può sembrare irriverente verso il suo ex club. Ma mettetevi un po’ nei suoi panni. Eticamente si può discutere, professionalmente, per quel che gli resta da giocare ad alto livello, forse no. Se stiamo vivendo da anni il dopo-Totti, con tutto ciò che ne sta conseguendo, speriamo di non dover anche iniziare a vivere il dopo-Dzeko. Sarebbero guai automatici.
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