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Il fuoco amico di Baldini per una Roma senza romani

LaPresse

Il consigliere di Pallotta è l'uomo preso di mira dai tifosi e dalla piazza per la "deromanizzazione" degli ultimi anni

Redazione

"Deromanizzazione". È la parola che da otto anni circola a Roma ad ogni scricchiolio dei rapporti. Figurarsi ora che in un mese saltano le due teste coronate più ingombranti, i simboli della romanità nello spogliatoio e nella dirigenza: De Rossi prima, Totti poi. Era l’estate 2011 e Franco Baldini tornò a Roma al timone della nuova proprietà americana. Il primo atto pubblico fu un’intervista a Repubblica in cui appiccicò a Totti un’etichetta: "Pigro". Ne voleva sottolineare le potenzialità inespresse, per Francesco fu una coltellata. Peggio, la traccia di un intento concretizzato nel 2017: nella sua testa chi lo ha «fatto smettere» di giocare è uno solo: Franco Baldini. Chi c’era, all’epoca, ancora ricorda la prima riunione operativa: Baldini da una parte della sala, i “romani” della dirigenza dall’altra a evidenziare una distanza non solo filosofica. E l’annuncio del direttore generale: "L’ufficio di Totti a Trigoria? Nella sede del Real, Raul non ne ha uno". Il proposito di spogliare Totti della sua stanza fu il primo vero terreno di scontro di Baldini con il mito. La scelta di Luis Enrique di mandarlo in panchina nella prima partita della nuova gestione a metà agosto, per far posto a Okaka e Caprari, sembrò a Francesco la prova, una dichiarazione di intenti: fare a meno di lui. I sussurri di quell’estate del 2011 raccontavano che l’idea dei nuovi proprietari fosse di liberare dei totem per tornare vincenti. Pensieri che i fatti di lì a poco avrebbero smentito, visto che il contratto in scadenza di De Rossi fu rinnovato a cifre record e che a Totti fu “regalato” il ritorno dell’amico Zeman dopo la prima stagione.

A Baldini - scrive Matteo Pinci su "La Repubblica" - sono state imputate tante decapitazioni, all’ombra del ruolo da consulente che Pallotta gli ha cucito su misura. Quella dell’ex direttore sportivo Sabatini. Quella del Totti giocatore. Quella di Di Francesco e quindi quella di Monchi. Infine, quella più netta, del Totti dirigente. Londra, sua sede operativa nei mesi caldi, è vista universalmente come il centro di un potere parallelo a Trigoria, quello da cui passano le decisioni, soltanto subite a Trigoria. «Fa tutto Franco», è il ritornello. Ma il peso specifico che Roma riconosce a Baldini nelle scelte del presidente è un macigno che lui rigetta riducendolo a mera leggenda, sentendosi semmai alternativamente il capro espiatorio di chiunque fallisca o incontri il giudizio negativo del vulcanico Pallotta o la scusa di chi abbia bisogno di un alibi. Ai suoi occhi, forse, pure Totti lo ha usato come pretesto per giustificare la rinuncia a un ruolo impegnativo. C’era una festa ieri sera a casa di Totti: la organizza tutti gli anni, per festeggiare l’inizio dell’estate. Baldini non era nella lista degli invitati.