Roma-Milan di stasera è il suo personale derby. Dovrebbe cominciarlo in panchina, ma a un certo punto dovrebbe dirigere verso il campo la sua cresta. Dorian Gray, alias Stephan El Shaarawy. Come il personaggio di Oscar Wilde, rimane all’apparenza intatto mentre il suo ritratto invecchia, segnato dalle alterne fortune, scrive Gabriele Romagnoli su La Repubblica. Incarna lo smarrimento di una generazione che non conosce il proprio valore perché non sa a quali parametri affidarlo: il mercato, la critica, il pubblico, i followers?
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Bentornato El Shaarawy: ora dicci chi sei
Il Faraone stasera sfiderà il suo passato partendo dalla panchina. A 28 anni è il momento di dare una direzione decisa alla sua carriera
Come fai a capire chi sei davvero se di te dicono “Uno come lui passa di qui una volta ogni cent’anni” (Preziosi al Genoa), “Vale più di Neymar” (Galliani al Milan), ma poi ti rimandano al mittente a una partita dall’obbligo di riscatto (successe al Monaco)? Se torni alle marcature in doppia cifra (alla Roma) ma continui a essere scambiato per il testimonial di un biscotto e la tua vita fuori dallo stadio pesa più di quella tra le righe del campo? Come puoi essere uno qualunque se all’improvviso ti offrono un ingaggio di 16 milioni netti l’anno (30,55 euro al minuto)? Come fai a essere un fenomeno se poi segni 4 gol in 19 presenze? A 28 anni El Shaarawy tenta l’eterno ritorno. Resta la domanda: chi è veramente? Ha molti indicatori dalla sua. Uno fra tanti: la sua velocità cambia di pochissimo che corra con il pallone o senza. È solo un indizio di possibile eccellenza. Poi si tratta di staccarsi dal ritratto, dalla panchina e provare tutto.
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