A tu per tu con Mou. C’era da aspettarselo così. Colto, un po’ distante, maledettamente a suo agio. Parla di emozioni senza emozione, scrive Enrico De Sisti su La Republica.
La Repubblica
A tu per tu con la leggenda, ma non corriamo
Mourinho: “Non chiamatela la Roma di Mourinho, sarà quella dei romanisti“
Aveva bisogno di uno slogan per cominciare la sua fase due in Italia. Pensato, forse improvvisato, vai tu a sapere: “Non chiamatela la Roma di Mourinho, sarà la Roma dei romanisti“. Ma siccome uno slogan può non bastare, ne trova un altro, in cui si racconta meglio, spiega tutti questi anni trascorsi lontano e la sua condizione attuale di abile, spontaneo, a volte torbido comunicatore: “Sono soltanto uno in più".
Quanto basta per arrivare a ridefinirsi completamente ma non a rinunciar di farlo. Alla sua prima uscita pubblica da allenatore della Roma, Mourinho non cerca empatie precoci (“sarò antipatico ma devo proteggere il mio club”), all’occorrenza non nasconde irritazione.
E fa chiaramente capire che vorrebbe liberarsi quanto prima dall’impaccio delle domande per andare a dirigere il suo primo allenamento a Trigoria (che lui pronuncia spesso “Trigorìa“).
Il suo “understatement”, mirato, potrebbe tornare utile per stemperare il processo di beatificazione già in atto. La gente lo acclama, collega il suo nome alla vittoria. Ma attenzione: nulla è scritto: “Io fra tre anni come mi vedo? A festeggiare con la Roma“.Fra tre anni, però, non domani.
Parla di tutto senza dire niente e in fondo ha ragione perché ancora nulla è cominciato. Non è particolarmente polemico, si limita a scansare domande cui non può oggettivamente rispondere, non sorride mai ma vorrebbe far ridere quando si precipita a togliere gli scuri plastificati che sbattono alla sua sinistra e quando finge di andar via dopo pochi minuti.
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