(Il Romanista - M.Bianchini) Si è chiusa da poco una stagione senza particolari onori per la Roma e i tifosi giallorossi.
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Petrucci: «A me piaceva Enrique»
(Il Romanista – M.Bianchini) Si è chiusa da poco una stagione senza particolari onori per la Roma e i tifosi giallorossi.
Alcuni pensano che sia stato pagato oltre misura il pedaggio richiesto dalla svolta epocale, disegnata dalla nuova proprietà americana, e avrebbero preferito un maggior conservatorismo e risultati immediati. Altri invece hanno scelto di credere nel futuro di un progetto destinato a durare nel tempo. Torti e ragioni si avvicendano a metà del guado, in una piccola cavalcata di interviste esclusive rilasciate al "Romanista", da personaggi dello sport e del giornalismo sportivo.
Inaugura la serie il presidente del Coni Gianni Petrucci.
Quale impressione ricava da un primo bilancio del progetto americano della Roma ad un anno dalla sua nascita? «Si parla di un progetto ben strutturato, perché pianificato a lungo termine. Non c’è stata, in questo primo anno, la necessità del risultato a tutti i costi. Si tratta di un cammino sicuramente ambizioso che ha come obiettivo quello di arrivare a costruire qualcosa di importante mediante un’idea precisa . Le idee sono chiare, mi sembra che poco sia affidato al caso».
Lei vede che la nuova Roma abbia portato una novità significativa nel panorama del nostro calcio abituato a presidenti mecenati che spesso accumulano debiti? «Vedo un società che lavora in silenzio ognuno sa ricoprire con diligenza il proprio ruolo. Una struttura attenta, scrupolosa , che ha come punto di riferimento Baldini, Fenucci e Sabatini , dirigenti preparati e con un bagaglio importante di esperienza alle spalle. La proprietà mi sembra lasci ampio margine d’azione agli uomini che ha scelto, senza invadere il campo».
Meglio il calcio innovativo di Luis Enrique o quello più rassicurante di un allenatore che fa praticare il calcio all’italiana? «A me il calcio di Luis Enrique piaceva e piace. Ha idee originali e coerenti , ha un’idea precisa e la porta avanti con determinazione e professionalità. Era alla sua prima stagione in Italia. In una grande piazza credo possa crescere ancora. L’esperienza in questi casi aiuta sicuramente».
La proprietà americana si propone un salto qualitativo importante. Prima di tutto con l’esportazione del marchio ROMA nel mondo. Ma la piazza romana e italiana in genere è pronta? «Tutto quello che comporta una crescita costituisce un valore aggiunto e non può che essere recepito positivamente dalla piazza. Non vedo alcuna difficoltà , anche perché si tratta di una valorizzazione del marchio, di una strada innovativa al passo con i tempi. Non conosco i dettagli e programmi, credo però che mutuare dall’esperienza dell’evoluto mercato americano qualche strategia possa essere solo un bene».
Nel complesso del Foro Italico, intorno allo Stadio Olimpico la Roma ha dato vita - penso al Village per i tifosi e le famiglie - ad una serie di iniziative che hanno avuto una buona risposta in quanto a gradimento popolare, con la prospettiva di poter incrementare il merchandising, come avviene in altri paesi. Lei che ne pensa? La Roma ha raggiunto un’intesa triennale con la CONI Servizi per l’utilizzo dell’Olimpico e l’impegno prevede la realizzazione di alcuni interventi di ristrutturazione dello Stadio, volti a migliorare la qualità dei servizi offerti e ad attivare nuove iniziative destinate al pubblico. In questo contesto la società ha avviato una politica virtuosa, seguendo un percorso di grande coinvolgimento popolare. Lo sviluppo del merchandising è un aspetto fondamentale per una realtà che vuole proiettarsi nel calcio di vertice internazionale. Ed è certamente uno degli aspetti più gratificanti, soprattutto guardando l’esempio che viene dall’Inghilterra»
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