rassegna stampa roma

Odio sempre le tautologie

(Il Romanista – G.Manfridi) Siamo tutti umiliati. Chi credeva nel progetto, e chi no; chi ancora ci crede e chi ha smesso di crederci, chi da poco, chi da molto.

Redazione

(Il Romanista - G.Manfridi) Siamo tutti umiliati. Chi credeva nel progetto, e chi no; chi ancora ci crede e chi ha smesso di crederci, chi da poco, chi da molto.

(...) Se romanisti, lo siamo tutti, dal primo all’ultimo, nessuno escluso. Chi sperava nel gol della bandiera e chi, franato al fondo del più ferale autolesionismo, quasi si augurava una quinta sberla che facesse da epitaffio definitivo all’avventura romana di Luis Enrique. Ne conosco, ne ho sentiti. Già, può accadere anche questo. La stizzosa ipocondria del voler infierire contro se stessi. Pur essa un aspetto del tifo e delle sue aberranti contraddizioni, e, seppure non comprensibile, va comunque accettata come segnale di una miseria a cui fa da specchio. In questo caso, la miseria riflessa, quella di un naufragio senza palpiti, senza reazioni. Anzi, nemmeno di un naufragio: di una inerte colata a picco, al pari di quanto è avvenuto a Lecce, e già altre volte prima. In una giornata che ha mostrato con oscena impudicizia le forche caudine a cui sono stati costretti i giocatori del Genoa, noi abbiamo patito la vergogna di vederci rappresentati in campo da un gruppo irriconoscibile. Non cè dubbio, a Torino abbiamo toccato il punto più basso del nostro campionato. (...) Inutile continuare a cantilenare: «La sconfitta poteva anche starci, ma così no».

L’errore è all’origine, nell’aver dato per inteso, sin da prima, che la sconfitta potesse anche starci. Testuale. Erano giorni che sentivo ripeterlo a ogni piè sospinto. "Vabbè, figurati con la capolista?" "con la difesa che abbiamo?" "con la fame che hanno quelli!". Ma una sconfitta, se per questo, può starci pure col Novara, che c’entra? Sempre di Serie A si tratta, non vedo perchè mai una partita debba essere considerata preclusa in partenza. Tanto, a furia di ripeterci che era già persa, l’abbiamo superpersa traducendo l’ovvietà preventivata in una sorta di ovvietà esemplare che recita: "Loro sono fortissimi, noi no", ergo: quattro a zero, come volevasi dimostrare. Meglio allora la non ovvietà dei quattro gol presi a Via del Mare; quelli, almeno, sapevano più di calcio, di cosa che non t’aspetti e che malgrado ciò avviene. Ma così, con la Juventus, e proprio con la Juventus che sta per laurearsi Campione d’Italia, è stato troppo squallido e troppo noioso. Quasi uno stigmatizzare differenze di casta insuperabili; peraltro, già ribadite dal tre a zero patito in Coppa Italia. E’ come se questa Roma fosse scivolata in un sinistro sortilegio che l’ha resa assuefatta ai propri limiti, motivo per cui questi limiti vengono ormai considerati degli assiomi che non ammettono discussione. Stiamo parlando di un circolo vizioso che in termini filosofici potrebbe essere definito una tautologia; vale a dire: una cosa che non può essere spiegata al di la di se stessa.

Una tautologia perfetta, ad esempio, è quella a cui da voce Luis Enrique allorchè afferma: «E’ chiaro che prendere due gol nei primi otto minuti ha poi condizionato tutto il resto della partita». E’ chiaro sì, ma non è che quei due gol ci siano stati imposti da una particolare bizzarria del regolamento, nè tanto meno da un evento sovrannaturale; ce li siamo fatti fare noi, e in un tal modo che se li avessimo visti fare da altri ad altri avremmo detto: questi sono i tipici gol che prendiamo noi. Lo stesso due settimane fa. Ci segna Muriel dopo una ventina di minuti e a quel punto fine dei giochi. Come fine dei giochi?... Beh, per forza!... Che senso ha affrontare una trasferta delicata con l’handycap di un gol al passivo?... Non vorrei essere così sarcastico ma è l’unica maniera che ho per scardinare l’odioso scrigno delle tautologie, che, l’avrete capito, sono la negazione di una qualsivoglia risposta logica con cui affrontare uno stato di crisi nella speranza di superarlo. E pensare che un tempo ci abbiamo fatto le magliette col gesto delle quattro dita sbandierate in faccia ai drughi, lo stesso che domenica ci è stato imposto da Lichsteiner! Altra mano allora, altra ironia, ma identico sberleffo. Con l’aggravio che questo dello svizzero quasi cancella quello del Capitano rendendolo preistorico e colmo di nostalgia.

E adesso rieccoci a dire: "Ma se vinciamo con la Fiorentina, eccetera eccetera?. Nonostante la sua stucchevole monotonia, sottoscrivo la tiritera: vinciamo coi viola e ributtiamoci al più presto in un prossimo futuro che sia capace di farci uscire dal sortilegio delle tautologie! Con tutto il fardello che ancora ci portiamo dentro e addosso, con la mestizia di chi si è autodichiarato inferiore a qualcun altro, col peso di otto gol incassati nelle ultime due trasferte. L’Olimpico è apparecchiato, rigeneriamoci! Se vinciamo tutto può essere. (...)