rassegna stampa roma

Nel nome di Ago

(Il Romanista – L.Di Bartolomei) – Da persona fortunata, che ha avuto una vita meravigliosa nonostante la perdita di Ago,

Redazione

(Il Romanista - L.Di Bartolomei) - Da persona fortunata, che ha avuto una vita meravigliosa nonostante la perdita di Ago,

credo che le persone che più si trovano a confrontarsi con delle tragedie siano forse anche quelle più abituate a guardare a tutto ciò che si pone di fronte a noi come qualcosa di bello, di meraviglioso, di assolutamente inaspettato. In questo senso sono molto felice della decisione presa dalla Roma, che mi sento di ringraziare. Perché, a distanza di 17 anni dal suicidio di Ago, si intende ricordare un uomo e un calciatore. E lo si ricorda intitolandogli un campo che non è solo un campo di gioco. Ma anche un luogo dove giocano tanti ragazzi, tanti futuri campioni che come Ago magari sono anche romani e romanisti.

Spero soprattutto che possano conoscerlo, magari anche attraverso i mezzi tecnologici che ci sono adesso, e portare di lui il ricordo di una persona che in campo ha sempre affrontato con serietà il suo impegno, il suo lavoro. Ricordandosi che la maglia che portava era il simbolo di qualcosa che per centinaia di migliaia di persone era un momento di svago, di tranquillità dopo una settimana di lavoro. E che quella maglia doveva sempre onorarla, non solo per quello che è il rapporto sportivo, ma anche per rispetto di tutti quelli che andavano e che vanno tuttora allo stadio. In questo senso credo che sia bello che dei ragazzi possano vedere quella targa in bronzo quando vanno ad allenarsi e che possano portare con loro alcuni tratti della sua serietà in campo. Il messaggio che Ago tentava di trasmettere ai ragazzi è quello che il calcio per alcuni diventerà uno sport professionistico, un lavoro. [...]

E tutto sommato è questo il motivo per cui ci sono ancora tante persone che ricordano Ago. Perché in lui vedono un ragazzo appassionato al calcio che calcava i campi di serie A, ma che avrebbe potuto con la stessa tranquillità calcare campi più modesti. I ragazzi che si avvicinavano alla sua scuola calcio erano i primi interpreti di quello che per lui era il modo di intendere il calcio. Ovvero qualcosa che per qualcuno diventava un lavoro ma che per tutti gli altri doveva essere fonte di ispirazione nella vita. Nel rapporto con se stessi, con il proprio corpo e con gli altri. Perché se non c’è questo rispetto per se stessi, questa lealtà che ogni calciatore dovrebbe mettere nel rapporto con i compagni e gli avversari, se non c’è questo rapporto con il calcio, non solo non si diventerà probabilmente mai un calciatore professionista, ma probabilmente non si diventerà neppure una persona per bene, una persona seria.[...]