rassegna stampa roma

L’ha vinta, l’ha rotta

(Il Romanista-D.Galli) Luis Enrique aveva dieci anni, masticava Big Babol, ungeva la catena della bici, era un Ironman in miniatura, sognava il calcio dei grandi mentre la Spagna degli adulti, dopo Franco,

Redazione

(Il Romanista-D.Galli) Luis Enrique aveva dieci anni, masticava Big Babol, ungeva la catena della bici, era un Ironman in miniatura, sognava il calcio dei grandi mentre la Spagna degli adulti, dopo Franco,

apriva le porte alla democrazia. Era un bambino. Ma se gli chiedete qual è stato il suo primo dispiacere sportivo, vi risponderà che sono stati due. Due finali perse nell’80 e nell’81 dal suo Sporting Gijón. Due finali di Coppa del Re. La nostra Coppa Italia. «Possiamo vincere questa competizione», diceva ieri Lucho in conferenza stampa. (...) Se lo ripete dal quel dannato 1980. Nato nel 1905, lo Sporting ha un palmarès misero: il Trofeo Amberes, il Trofeo Ibérico, il Trofeo Samaranch e un premio per la “Mejor Entidad Deportiva”. Vabbé, ci sta.

 

In Spagna si tifa Barcellona perché la Catalogna non è Spagna e si tifa Real Madrid per convenienza. Chi tifa Gijón lo fa per fede. Solo per fede. Quella finale di Coppa del Re del 1980 al Vicénte Calderon di Madrid può però regalare la prima grande soddisfazione calcistica al popolo asturiano. Davanti allo Sporting c’è il Barcellona. (...) L’eliminazione dalla Uefa costa la panchina a Kubala. Helenio Herrera, alla sua ultima esperienza professionale prima della pensione, chiude la carriera con una vittoria. Una doppietta di Quini e un gol di Esteban piegano il Gijón. La finale termina 3- 1, il Barcellona solleva la sua diciannovesima Coppa del Re. Luis Enrique piange davanti alla tv. La rivincita per lo Sporting potrebbe arrivare dodici mesi dopo a Valladolid. Il Gijón è nuovamente in finale di Coppa del Re. Il miracolo si ripete. Ma davanti c’è un altro Golia da battere, il Real Madrid. Niente da fare, la “Casa Blanca” batte 2-1 la squadra del baby Luis Enrique.

Per vincere la Coppa, Lucho dovrà cambiare pelle. Maglia. Dovrà vestire quella del Real Madrid, la Juve di Spagna. Siamo nel 1993, Luis Enrique ha 23 anni quando a Valladolid assiste - Benito Floro non lo manda in campo - al successo per 2-1 in finale sul Real Saragozza. Butragueno s’inventa un supergol, Lasa chiude il conto. Quattro anni dopo, invece, al Santiago Bernabeu il tecnico della Roma sarà uno dei principali artefici del trionfo in Coppa del Re del Barcellona di Bobby Robson sul Real Betis. Assieme a Luis Enrique in quell’undici c’è anche un “certo” Guardiola. Il Real passa per due volte in vantaggio e per due volte viene ripreso. E’ Figo all’85’ a decidere la finale. L’anno successivo il Barcellona arriva di nuovo all’ultimo atto di Coppa. Si gioca a Valencia contro il Maiorca di Hector Cùper. La partita si chiude sull’1-1. Ai supplementari - minuto 105, per la precisione - van Gaal toglie inspiegabilmente Luis Enrique inserendo Oscar. Lucho non la prende bene. Stizzito, scaglia la tuta a terra. La polemica muore sul nascere, perché i blaugrana vincono ai rigori. Durante la festa capita però una cosa strana: Luis Enrique rompe involontariamente la Coppa del Re. Il trofeo nazionale che inseguiva da bambino. E che ora può conquistare da allenatore.