rassegna stampa roma

«Con Luis ci aspetta un grande 2012»

(Il Romanista-M.Macedonio) «Cosa mi auguro per la Roma nel 2012? Innanzitutto, che si vada avanti per questa strada, e che il “progetto” – io continuo a chiamarlo così – veda finalmente la sua piena realizzazione.

Redazione

(Il Romanista-M.Macedonio) «Cosa mi auguro per la Roma nel 2012? Innanzitutto, che si vada avanti per questa strada, e che il “progetto” – io continuo a chiamarlo così – veda finalmente la sua piena realizzazione.

E mi sembra che i segnali, in tal senso, stiano arrivando, sempre più evidenti ». Si dice ottimista, Massimo Ghini, soprattutto dopo le ultime convincenti prestazioni della squadra. (...)  Da venerdì 30 e fino all’8 gennaio, infatti, in coppia con Cesare Bocci, sarà in scena al Teatro Verdi con “La Cage aux folles”, ovvero “Il vizietto”, già grande successo cinematografico, protagonisti Ugo Tognazzi e Michel Serrault, e che vede ora lo spettacolo atteso ad una lunga tournée in giro per l’Italia, dopo aver toccato Roma e il Sistina giusto nelle scorse settimane.

 

Tra pochi giorni si riaprirà il mercato. Fossi tu a scegliere, su chi andresti? «Credo che serva soprattutto un sostegno alla difesa e, quindi, che un paio di acquisti in quella zona del campo vadano fatti. Soprattutto per ottenere al meglio quel tipo di gioco che lui vuole dalla squadra. A maggior ragione ora, che i giocatori hanno cominciato a capire quale sistema lui abbia voluto impostare. Senza contare che, anche a causa degli infortuni – quello di Burdisso su tutti – c’è necessità di avere ricambi all’altezza. Per sostituire, quando servisse, anche Heinze, Juan o Kjaer. Detto quindi che, a centrocampo e in attacco, la squadra mi sembra sia messa già abbastanza bene, se proprio devo correre ai ripari trovo giusto farlo nel reparto arretrato. Sia al centro che sugli esterni. Uno e uno, e non si sbaglia».

Sei tra quelli che ritengono che fosse la squadra a non esprimere ancora ciò che voleva il tecnico,oppure ritieni – come fanno molti - che sia lui ad aver sconfessato se stesso, cambiando radicalmente il proprio modo di giocare? «Una fase di crescita la si vive tutti insieme. Nel senso che tutti ci mettono qualcosa. Se prendo ad esempio i due elementi cardine, il tecnico e il capitano, trovo che entrambi hanno modificato qualcosa del proprio atteggiamento, prendendo l’uno qualcosa dell’altro. Un passo avanti e uno indietro, e ci si viene incontro. Quando sento Francesco dire che giocare alle spalle delle punte lo fa sentire più utile alla squadra, perché gioca più palloni, e quindi si diverte anche di più, mi rincuoro. Perché vuol dire che, ancora più di prima, dà sicurezza ai compagni, essendo l’uomo dai piedi d’oro. E perché così può permettersi di girarsi a destra e a sinistra, e mettere il pallone sui piedi di ragazzi altrettanto in gamba. Dall’altra parte, l’allenatore ha capito che per arrivare ai risultati che intende ottenere, bisognava trovare degli equilibri migliori. Che non vuol dire aver rinnegato il proprio credo. Italianizzato? Non mi sembra che giochi alla Trapattoni… Vedo invece una squadra che è interamente coinvolta: si attacca tutti insieme e si difende tutti insieme. Una squadra che si diverte. E’ un segnale importante che i giocatori lo seguano e siano dalla sua parte. Ho potuto vedere solo ieri la partita con il Bologna, perché quella sera lavoravo. E ho capito, in maniera chiara, quale sia l’esatto progetto davanti a noi. Nel primo tempo, ho visto una squadra da Champions League. E nel campionato italiano, non ne ho mai vista una giocare così. Che vuol dire costringere l’avversario a fare solo falli, innervosendosi. Perché il pallone non lo vede mai… E allora, vorrei capire perché in molti ce l’abbiano con Luis Enrique… ».

Perché ritengono che nessuno debba insegnarci nulla. «E invece abbiamo molto da imparare. Perché con la nostra aria di superiorità, e spesso con squadre che in Europa non vanno al di là degli ottavi, pensiamo di poter sempre e solo insegnare. Ma siamo un paese a pezzi, in tutti i sensi, anche calcisticamente. Che se vuole insegnare qualcosa a qualcuno, deve prima dimostrare di poterlo e saperlo fare. E’ facile fare una squadra spendendo miliardi e comprando campioni affermati, come fanno alcune società, vedi quella del nostro ex presidente del Consiglio. La soddisfazione è invece, come hanno fatto Baldini e Sabatini, andare a pescare dei giovani, anche diciannovenni, ma con grandi qualità: gente che potrà durarti minimo dieci anni. Invocare il patriottismo? Grazie a Dio, è venuto un americano, pazzo, che ha portato i soldi a Roma. Ed è tornato Franco Baldini, un grande professionista stimato in tutto il mondo. La smettessero, tutti quei soloni, che difendono solo il proprio territorio! Vivaddio, è venuto un tecnico che mi piace proprio. Con quella faccia, così espressiva, che fa quando è costretto a rispondere a tante domande imbecilli che gli vengono poste».

Prima che l’ennesima galleria interrompa di nuovo la telefonata, qual è il ricordo più bello che ti porti di questo 2011? «Sul piano personale, il Premio De Sica che mi è stato consegnato di recente dal Presidente della Repubblica, e mi ha ripagato di tante delusioni. Bellissime, in particolare – ma direi confortanti - le parole che mi ha detto Napolitano ».

E per quanto riguarda la Roma? «La vittoria a Napoli. Lì, la squadra mi ha dato proprio l’idea di credere in quello che fa, sapendo che può e potrà fare tanto. Me la sono proprio goduta. E’ da lì che si riparte, per un anno tutto da vivere e gustare».