rassegna stampa roma

La nostra impossibilità di essere mediocri

(Il Romanista – G.Manfridi) Costretti a crederci. Questo campionato è davvero insistente, quasi petulante nella sua irriducibile pretesa di mantenerci in gioco.

Redazione

(Il Romanista - G.Manfridi) Costretti a crederci. Questo campionato è davvero insistente, quasi petulante nella sua irriducibile pretesa di mantenerci in gioco.

Come carezziamo l’idea che ormai sia inutile continuare a farsi il sangue amaro e ci troviamo sul punto di abbandonare sogni europei di grande respiro rinviando tutto alla prossima stagione, ecco un turno come quello spartito fra sabato e domenica per ritrovarci presi dall’obbligo di poter essere grandi già a partire da subito, da adesso, da questo momento qui. Ma non sarà un po’ presto? Dovessimo poi avere troppa nostalgia della parola progetto’ (...)! Sono ironico, ma con parsimonia, la stessa con cui ci siamo assuefatti a dosare il nostro entusiasmo per tutto ciò che di nuovo stiamo vivendo da circa un anno. Nuova la società, nuova la filosofia nel fare mercato, nuova la maniera con cui ci troviamo a seguire la partite. Di qui, un profluvio di cautela che nei più fiduciosi ha prodotto indulgenze a oltranza, mentre in altri ha sollecitato disillusioni capaci di produrre irritazioni spesso rancorose, poiché in buona parte frutto, come la cronaca ha dimostrato, di opportunistiche nostalgie. Eppure, un fronte chiaro di dissenso non si è mai formato, malgrado qualche autentico dispiacere sportivo ci sia toccato subirlo. Forse perché, tutto sommato, non stiamo vivendo un campionato sciocco.

Con tutte le nostre attuali imperfezioni, con una difesa vieppiù sbalestrata da assenze croniche e da intermittenze e sincopi che ci tormentano da fine agosto, con un possesso palla che da marchio di fabbrica si è tante volte trasformato in occasione di critica se non di derisione, questa Roma di Luis Enrique non riesce a essere mediocre, anche se nel corso dei mesi la classifica ci avrebbe voluto convincere del contrario. Per carità, la vera grandezza è ancora di là da venire, ma può accadere che si cominci a essere grandi fingendosi tali, e battersi per il terzo posto è un provare a fingersi grandi da subito per consentirsi di divenirlo al più presto. Mai come ora, nella settimana del dopo Novara, soddisfatti da un 5-2 che insieme ai tre punti ci ha offerto chiari indizi circa le varie pecche da cui ancora dobbiamo emendarci, è imperativo dirsi: “Abbiamo uno scopo, un traguardo ben chiaro: arrivare lassù in alto”. Forse, a dichiararlo in modo esplicito non manchiamo che noi. Intendo, noi tifosi tutti quanti. Sabatini lo ha fatto anche prima che il distacco da quelle che ci sopravanzano venisse sensibilmente ridotto; lo ha già fatto da tempo Baldini e lo hanno fatto i giocatori, da Totti a De Rossi, ma ci metto anche Kjaer, che con tutte le sue imperizie non mi sento di bocciare, per non dire che mi piace il suo modo cocciuto di giocarsi le chances residue che ha di rimanere in giallorosso anche il prossimo anno. A inizio stagione, in fondo, la nostra speranza più fondata qual era? Questa che stiamo di fatto vivendo: lottare per il podio; dunque, per essere nell’eccellenza della Serie A, con tutto ciò che ne consegue maggiori risorse, un mercato più entusiasmante, l’inno della Champion’s, e via discorrendo. (...)

E allora, passo dopo passo, concentriamoci solo sul prossimo appuntamento come fosse l’unico: Il Lecce a Lecce, che non è lo stesso del Novara a Roma. Il pareggio dei pugliesi col Cesena può costituire per noi un piccolo vantaggio, facendoci immaginare i salentini meno fomentati da speranze di salvezza davvero ridotte a poco. Ma è una considerazione che faccio quasi pro forma, credendoci io per primo così e così. Noi romanisti potremmo compilare tristi manuali sull’inutilità di queste auspicate dismissioni di belligerenze altrui; troppe volte, infatti, abbiamo dovuto misurare la velenosa insidia portata da Cenerentole ormai spacciate. Poi, mi domando se sia solo convenzionale vittimismo quello che ci fa vedere ogni avversario supermotivato dal solo pensiero di affrontarci, o non piuttosto una verità acclarata. Allo stadio Via del Mare ricordo uno dei primi squilli nell’anno dell’ultimo scudetto, fu un 4-0 con un gol dirompente di Batistuta, che quel giorno segnò la sua prima doppietta da romanista. Stavolta non andiamo lì per giocarci il titolo, ma la cosa più importante dopo il titolo, e, soprattutto, un’opzione importante su ciò che potremo giocarci il prossimo anno.

Concludo salutando Giorgio Chinaglia. E’ stato bandiera d’altri, e nostro avversario. (...). A volte ci ha offeso trasformandosi da avversario in nemico, e altre volte noi lo abbiamo ripagato soddisfacendoci delle sue cadute. Ma questo perché è stato un uomo a tinte forti, nel cui destino erano iscritti sia i crolli che i trionfi. La notizia della sua morte mi ha profondamente turbato. E’ un lutto a cui non mi sento estraneo. Negli scenari della mia giovinezza, in uno strapazzo di emozioni, in una rissa di cose, c’è anche lui, e di questo voglio rendergli atto.