rassegna stampa roma

Guarnacci, amore e scudetti

(Il Romanista  –  M. Izzi) – Egidio Guarnacci salutò il giallorosso a Basilea il 29 giugno 1963. Davanti, nella finale per il terzo e quarto posto della Coppa delle Alpi c’era l’Inter che si stava apprestando a conquistare...

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(Il Romanista  -  M. Izzi) - Egidio Guarnacci salutò il giallorosso a Basilea il 29 giugno 1963. Davanti, nella finale per il terzo e quarto posto della Coppa delle Alpi c’era l’Inter che si stava apprestando a conquistare l’Europa e il mondo. Ebbene, quella Roma fece incassare ai nerazzurri un poderoso 5-1. Capitan Guarnacci contribuì mettendo a segno la rete del 2-0. Una bastonata da venti metri che s’infilo all’incrocio. Solo un palo, in apertura di ripresa gli impedì di firmare una doppietta. Quello, come detto, fu l’addio al giallorosso, seguito da una nefasta cessione alla Fiorentina.

Guarnacci rientra però in quella ristretta cerchia di bandiere per cui un addio alla Roma non potrà mai esserci. Il suo amore per la maglia, prima ancora del suo grande contributo dato in campo, lo lega per sempre agli unici colori che abbia mai amato. In quell’addio ebbe probabilmente un suo peso un grave infortunio che Guarnacci (in quel momento titolare della Nazionale) subì, proprio contro la Sampdoria l’8 gennaio 1961. Tentò stoicamente di restare in campo, ma alla fine la distorsione al ginocchio sinistro (sarà operato al menisco) lo costrinse alla resa. Rientrerà solo l’11 febbraio 1962 superando non poche difficoltà. Anche per questo, il match con la Sampdoria ci spinge a rievocare assieme al protagonista, quella che è stata un’avventura agonistica di rara intensità. «Voglio dire – esordisce Guarnacci che incontriamo nella sua Farmacia a quattro passi da Piazzale Flaminio – che a proposito di ricordi e di memorie mi ha colpito il recente anniversario dei sessant’anni della Televisione Italiana. La Rai iniziò le sue trasmissioni il 3 gennaio, ebbene il 24 di quello stesso mese, la Roma giocò una gara amichevole contro il Racing di Buenos Aires. La Rai avanzò la richiesta di poter avere nei suoi studi due giocatori per commentare quella gara. Era domenica e avevano tutti da fare. Così i senatori della squadra dissero in coro: “Mandateci i giovani” E così, io e Pellegrini, capitano della squadra ragazzi fummo portati a Via Asiago per rilasciare questa intervista. Forse fummo i primi in assoluta della storia della televisione italiana. Gli studi mi sono rimasti impressi. Entrando c’era una stanzetta e una scrivania a cui era seduta Nicoletta Orsomando. Di fronte c’era un’altra stanza. Ma insomma, due camere e cucina, un ambiente spoglio».

Insomma una prima intervista in tutti i sensi storica, ma come è iniziata la sua passione per il calcio?

Avevo un cugino più grande di me che giocava a Testaccio. Nascondeva dentro a un cassetto i pantaloncini imbottiti come andavano allora, i guanti da portiere e tutto il necessario perché a casa non volevano che giocasse. Perché quando andava ad allenarsi, alla fine, a forza di tirare “lo ammazzavano”. I giocatori si divertono se in porta c’è qualcuno che para e lui dava tutto. Solo che alla sera doveva andare in sala al Ristorante e, insomma, questa cosa non era vista bene. Però quando a casa mia madre usciva e rimanevamo da soli ci mettevamo a giocare con il pallone e la mia passione è nata un po’ così.

Da tifoso della Roma, invece, quali sono i suoi primi ricordi?

Sono legati a Campo Testaccio. Lì ho visto la partita dell’esordio di Krieziu contro il Bari (10 marzo 1940), ma vidi anche una partita contro l’Ambrosiana in cui Masetti si fece male alla testa (25 febbraio 1940). E lo ricordo seduto, appoggiato al palo, mezzo stordito…

Poi Masetti l’ha portata alla Roma e lei lo ha avuto come allenatore sia nelle giovanili che in un anno di prestito al Colleferro.

Sì, e, infatti, gli ricordai quell’episodio che mi era rimasto così impresso.

Sempre come tifoso lei può vantarsi di aver assistito a tutti e tre gli scudetti vinti dalla Lupa.

Sì, nel 1941/42, effettivamente ero abbonato. L’ingegner Sani, un ferrarese che lavorava in federazione e che nel periodo di guerra ricopriva il grado di capitano dell’aeronautica frequentava sempre il nostro ristorante, sapendo di questa mia passione per la Roma mi fece la tessera della Tribuna coperta. Mio padre allora pagava il biglietto a uno dei camerieri che poi mi accompagnava allo stadio. Non è che le ho viste tutte, ma insomma, ne ricordo parecchie.

Quale fu la sua trafila una volta selezionato nei quadri giallorossi?

Allora c’erano due squadre ragazzi. La “Forlivesi”, i pulcini che poi andavano a fare i raccattapalle nelle partite…

E lei lo ha mai fatto?

Mi è capitato il giorno dell’inaugurazione dello Stadio Olimpico con Italia – Ungheria (17 maggio 1953). In tutto ci chiamarono in quattro. Io in qualità di capitano della Roma A, Uccellini capitano della Roma B, poi Franco Carradori della Lazio e un altro ragazzo della Lazio B. Nel primo tempo mi piazzai dietro la porta di Sentimenti IV e mi sono alzato un paio di volte, perché non la buttavano mai fuori. Il secondo tempo mi misi al centro del campo, sotto la tribuna Monte Mario. Di quella giornata ricordo un aneddoto divertente. Noi della Roma ci presentammo con la tenuta da gioco. Maglia rosso-gialla e pantaloncini neri. Prima della partita eravamo nei corridoi dell’Olimpico, fuori dagli spogliatoi dove i giocatori si stavano preparando. A un certo punto venne fuori Sentimenti IV che si lamentava perché i suoi pantaloncini erano stretti. Mi vide e mi chiese se potevo dargli i miei. E quindi giocò con i pantaloncini della Roma mentre io presi i suoi.

Torniamo alla scalata verso la prima squadra.

Feci i tre anni nei ragazzi, poi sono passato nella squadra riserve che faceva un suo campionato e si allenava con la prima squadra. Il secondo anno con le riserve abbiamo perso la finale contro il Milan. Il passaggio con i “grandi”, poi, è stato naturale.

Chi è l’avversario che le ha dato più filo da torcere?

Mah, non ho avuto una bestia nera. Cercavo di fare la mia partita, non entravo mai per picchiare il mio avversario...