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Sono scomparsi i campioni, un problema non soltanto italiano

La Nazionale italiana è più che mai una squadra formata da giocatori "normali". Mancano campioni nostrani, e nemmeno gli oriundi servono ad aumentare il livello. Nel calcio contemporaneo è forse scomparso il talento?

Redazione

Oggi che si parla di Nazionale, e senza sinceramente colpe per Conte, credo dovremo sul serio pensare al modo improvviso in cui si è fermata in Italia la nascita di grandi calciatori. L’evidenza farebbe dire che la responsabilità è dell’arrivo di tanti stranieri, e questo incide certamente, ma se i grandi giocatori ci fossero giocherebbero pur da qualche parte e li vedremmo. Magari in B. Ma non se ne vedono.

Il problema degli oriundi, discussione pessima, non è nella loro origine etnica, ma nella loro qualità normale. Fanno numero, non differenza. Quando gli oriundi erano Sivori e Altafini a nessuno veniva in mente di discutere. Eppure se l’Italia ha avuto un’abbondanza è sempre stata quella di campioni. Sono troppo lontani gli anni dell’anteguerra, quelli di Meazza, Piola, Ferrari, ma dal Grande Torino in poi abbiamo avuto la generazione di Valentino Mazzola e Boniperti, poi di Rivera, Sandro Mazzola, Bulgarelli, Corso. Nello stesso momento attaccanti come Riva, Boninsegna, Pulici, Prati. A questa generazione ha fatto seguito quella di Bearzot con Rossi, Tardelli, Scirea, Causio, Antognoni, con Altobelli che faceva la riserva, Beccalossi nemmeno convocato e chissà quanti ne dimentico. Siamo infine arrivati al tempo di Baggio, con Del Piero, Totti, Zola, Mancini, attaccanti come Signori, Inzaghi, Vieri, la gioventù di Pirlo. Poi improvvisamente niente, la normalità.

Si è detto della scomparsa del calcio in strada. Quella degli oratori, il danno del socialismo tecnico delle scuole calcio dove devono giocare tutti perché pagano una retta frenando l’evoluzione e la selezione. Si è parlato del cambio dei tempi, questa è l’epoca delle playstation, i giovani sono diversi, hanno interessi diversi. Tutto vero, ma non basta. Il vuoto è troppo. Se allargo gli orizzonti non c’è molta differenza. Gli inglesi sono stati spazzati dalle competizioni, i tedeschi hanno due squadre sulle sedici rimaste, i francesi anche, ma solo con club finanziati da patron fuori misura. Questo allarga il problema, i grandi giocatori stanno mancando quasi dovunque. Anche in Brasile. Lo spettacolo delle televisioni funziona da profumo, questo ci fa scambiare spesso un buon giocatore per un grande, poi guardando Messi, Ronaldo o Ibrahimoviccapiamo la differenza. Con le mezze stagioni, sembra essersene andato anche il modo di diventare fuoriclasse. Se il problema è generale, deve esserlo anche la causa.

Credo che molto dipenda dalla velocità. Ha reso più duri i contatti fisici e più complesso il controllo del pallone. Oggi dovunque si allena la resistenza di un calciatore competitivo perché deve durare per sessanta partite e perché gli avversari fanno la stessa cosa, corrono di più. Inoltre correre è molto più facile che giocare benissimo al calcio. Abbiamo probabilmente scelto la parte più gestibile del gioco. Viene meglio anche agli allenatori. Nessuno insegna più il dribbling, solo schemi che portano in fondo al campo a forza di passaggi. Il calcio femminile, dove si corre per forza meno, in un modo simile a quello maschile di quindici-venti anni fa, è molto più tecnico. Ma se almeno una parte della colpa sta nella velocità, noi italiani dovremmo esserne immuni. Siamo di solito lenti. Vero, ma quello non è un problema di preparazione fisica, è una questione tattica. Gli altri corrono, noi schermiamo, facciamo massa per annullare la loro corsa. Non è inferiorità, è una scelta. In sostanza non siamo noi la cura, ma non lo sono nemmeno gli altri. Forse non esiste cura, bisogna solo aspettare. O forse il calcio è vicino al suo limite.