Nella sua prima avventura giallorossa Luciano Spalletti aveva introdotto a Trigoria una parola d’ordine: normalità. Un concetto che conteneva in sé il comportamento in campo e fuori dal campo,e che come ricorda Luca Valdiserri su Il Corriere della Sera aveva contribuito a conquistare dal 2005 al 2009 due Coppe Italia, una Supercoppa italiana, due premi come miglior allenatore della stagione.
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Roma, dove è finita la «normalità» che aveva fatto grande Spalletti?
In difesa Spalletti ha già utilizzato dieci giocatori diversi (Alisson, Szczesny, Florenzi, Bruno Peres, Manolas, Vermaelen, De Rossi, Fazio, Emerson Palmieri e Juan Jesus), cambiando anche in corsa lo schieramento da 4 a 3
Tutto si poteva dire di Spalletti tranne che non avesse le idee chiare. Ritornare nei posti di un tempo – soprattutto se si è fatto bene – è sempre un rischio. Zdenek Zeman, per esempio, lo ha vissuto sulla propria pelle nella seconda stagione della presidenza americana.
Dopo l’eccellente percorso del girone di ritorno dello scorso campionato (14 vittorie, 4 pareggi e una sola sconfitta in campionato dopo l’esonero di Rudi Garcia), Spalletti ha potuto iniziare questa stagione dall’inizio, concordando preparazione, amichevoli, mercato e strategie societarie. È per questo che stupisce il cammino di questo inizio: una sola vittoria (4-0 all’Udinese), due pareggi (1-1 con il Porto nell’andata del preliminare di Champions, 2-2 a Cagliari) e una rovinosa sconfitta (0-3 in casa contro il Porto nel ritorno). Stupisce ancora di più che i due registi – Pjanic e Keita – non siano stati sostituiti. Nessun centrocampista ha caratteristiche simili. E così la Roma si trova spesso, per ammissione del suo stesso allenatore, ad avere una squadra che ha problemi nel gestire la palla in uscita dalla difesa e, soprattutto, non sa congelare le situazioni di vantaggio, come quelle che sono capitate nelle trasferte di Porto e di Cagliari.
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