Chi l’ha detto che il derby è finito al fischio di Rizzoli, dopo il gol di Yanga-Mbiwa e la festa dei romanisti sotto la Sud? Chi conosce un po’ il calcio sa che il derby, a Roma, non finisce mai. E che, più di una sconfitta, quello che brucia è tutto ciò che ne consegue: gli sfottò, la battuta del vicino di banco o di scrivania, l’ascolto delle radio private la mattina successiva alla partita.
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Magliette, corse, tuffi: l’infinito derby delle provocazioni
I giallorossi puntano sul «game over» e i laziali si consolano con la spettacolare coreografia della Nord. Il derby, a Roma, non finisce mai
Lo sanno i laziali e lo sanno i romanisti che, a fasi alterne, l’hanno vissuto sulla loro pelle. Così, se adesso sono i giallorossi a sbizzarrirsi su Facebook o sulle radio private, due anni fa erano i biancocelesti a godersela.
Adesso c’è la faccia di Lotito che «gira» per la rete, l’espressione furbetta e la frase: «La butto lì: supplementari?». E poi ci sono le foto delle t-shirt esibite da Totti, Florenzi e compagni («La grande bellezza», «Stai sempre a parla’», «Rigiochiamo anche domani?»), l’immagine dei Cugini di campagna (quelli veri) con lo sguardo perplesso in tribuna. E il «v’avemo arzato la Champions in faccia» che vorrebbe fare il paio col 26 maggio 2013, quando la Lazio vinse il derby che valeva la Coppa Italia, Roma si riempì di scritte «Lulic 71’» (autore e minuto del gol decisivo) e per un anno in curva Nord si festeggiò con un boato ad ogni 71’ di una qualsiasi partita.
Quella volta era «v’avemo arzato la Coppa in faccia», i laziali martello, i romanisti incudine. È sempre così, cicli e ricicli. Da Giorgio «Long John» Chinaglia con l’indice puntato verso la curva Sud nel ‘74, alla sua «citazione» fatta da Paolo Di Canio nel 1989, con un Olimpico in ristrutturazione. Da Carletto Mazzone sotto la Sud dopo il Balbo-Fonseca-Cappioli (‘94), ai quattro derby persi dallo Zeman giallorosso (‘97-98), fino alla «manita» romanista per i cinque vinti di fila (l’ultimo con Montella in panchina).
Nella stracittadina ci sta tutto. Il tuffo nel Fontanone del Gianicolo di Delio Rossi, la collezione di magliette di Totti (la prima, quel «V’ho purgato ancora», fa ancora discutere), il selfie del capitano sotto la Sud nel 2-2 dell’andata, la canzone del Galopeira (al secolo Riccardo Angelini) sull’autogol di Paolo Negro e, andando più indietro nel tempo, il famoso «agguanta la palla Marco Lanna» che causò il rigore per la Lazio e una vittoria targata Beppe Signori (‘96). Per cui, alla fine, anche stavolta c’è poco di cui scandalizzarsi. È il derby, bellezza.
I giallorossi puntano sul «game over» e i laziali si consolano con la spettacolare coreografia della Nord. Si andrà avanti così, fino al primo derby della stagione prossima, quando si ricomincerà da capo. E, in fondo, alla fine è sempre meglio questo delle scene viste in campo e fuori all’Olimpico: il dito medio di De Rossi, l’edificante botta e risposta tra Pioli e Garcia («bugiardo», «rosicone»), gli accoltellamenti e gli scontri fuori dallo stadio.
Dicono che il derby sia anche questo, Ma è la parte peggiore.
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