rassegna stampa roma

L’inaccessibile tempio del tifo: se non sei con noi, non puoi parlare di noi

Il mondo del tifo si configura come inaccessibile per chi non ne fa parte, un elemento che è specchio della società

Redazione

Per aver scritto dello scontro tra Francesco Totti e Luciano Spalletti ho ricevuto in poche ore via mail o via social una valanga di invettive. Non è la prima volta. Mi è capitato in altre occasioni ma mai in questa misura e con tanto ardore. E non per ciò che era scritto nel mio articolo, ma per il fatto stesso che io avessi osato scriverlo. Per aver parlato della Roma pur non essendo romanista. Sono stato anche accusato di non aver rispettato la deontologia professionale, non avendo dichiarato il mio tifo per la Juventus. Il massimo del tradimento: essere romano e juventino. Meritevole di insulti. Peccato che nell’articolo non si parlasse della Roma, ma di Roma. Dell'identità di una città amata e odiata, meravigliosa e scombinata, spettacolare e caotica. Ma ammesso che si parlasse della Roma, è interessante lo spirito tribale, l’atmosfera da clan chiuso che la richiesta di non parlarne mette in evidenza: Se ne può parlare se sei tifoso. Se sei interista sei titolato a parlare dell’Inter, della Juve se juventino, del Napoli se napoletano, ma nessuna salvezza fuori della chiesuola. Pensate a cosa sarebbe ridotto il giornalismo se un simile afflato tribale si applicasse in altri settori: parli di Renzi solo se sei del Pd, di Berlusconi se sei del centrodestra, di Lega solo se sei del Nord. Un’assurdità che sembra normale se aumenta l'agone calcistico. Come se qualunque argomento non valesse niente rispetto al principio di appartenenza. Ecco perché tutto questo è simbolo di una mentalità che va oltre il calcio. Ma del resto ci basta un 'daje' per sentirci tutti uniti.

(Pierluigi Battista)