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Bavagnoli e il sessismo nel calcio: “Così torniamo indietro di anni”

LaPresse

L'allenatrice della Roma femminile furiosa per la frase rivolta dal dj Martin Solveig ad Ada Hegerberg, attaccante norvegese che stava ritirando il primo Pallone d’oro della storia

Redazione

"Episodi come quello accaduto durante la premiazione del Pallone d’oro riportano il movimento indietro di anni" dice Elisabetta Bavagnoli, per tutti Betty, l’allenatrice della Roma, intervistata da Gianluca Piacentini su l Corriere della Sera.

Lei è un vero e proprio monumento del calcio femminile in Italia. Prima da giocatrice, con la maglia della Nazionale e di club prestigiosi come Lazio, Modena, Milan, Torres e Agliana, e poi da tecnico, diventando nel 1999 la prima donna ad allenare (da vice) insieme a Carolina Morace una squadra di uomini, la Viterbese in serie C1. Nei suoi 40 anni di carriera ha vissuto tutte le fasi e lo sviluppo del calcio femminile, e sulla propria pelle i pregiudizi e i luoghi comuni che da sempre accompagnano questo sport.

Per questo la domanda "Do you know twerking?" (sai twerkare?») rivolta dal dj Martin Solveig ad Ada Hegerberg, attaccante norvegese che stava ritirando il primo Pallone d’oro della storia, l’ha fatta arrabbiare (e ha scatenato i social network).

Cosa non le è andato giù? "A Modric o a un altro calciatore che ha vinto quel premio non è mai stata fatta una domanda del genere. Ovunque c’è una cultura errata nei confronti della figura femminile. La donna non deve per forza mettersi in mostra. Episodi come questo ti riportano indietro di anni. Si stanno facendo passi in avanti in tutto lo sport femminile, ci sono tante persone che si stanno ponendo nel modo giusto nei nostri confronti, ma ogni tanto ci sono delle persone che deragliano dal percorso".

Perché, secondo lei? "Siamo abituati all’idea che il calcio sia uno sport per maschi. In molti parlano senza riflettere, ma in Italia abbiamo avuto esempi significativi di persone, che ricoprivano anche incarichi importanti, che la pensavano davvero in questo modo".

Aspirate, come nel tennis, alla parità salariale? "L’obiettivo non è guadagnare quanto gli uomini, ma migliorare: per il nostro status, per avere maggiori tutele. Le società professionistiche ci permettono di migliorare la qualità dello sport, delle strutture, la competenza e la qualità delle persone che giocano a calcio. Questo ci farà diventare sempre più brave e presentare uno spettacolo migliore".