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Non sparate su Suarez

L'attaccante uruguaiano è un personaggio che riconsegna al calcio quella ruspante umanità che da troppo tempo latita sui campi da gioco.

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«Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari.» Prima della fine del romanzo, s’intende. Lo disse Anton Cechov. Per dare un giudizio equanime su Luis Suarez bisognerebbe partire da qui, da questa specie di determinismo artistico, perché il pistolero ed artista del pallone Suarez non solo nei piedi ma anche in bocca ha l’artiglieria: incisivi terrificanti che sono senza dubbio alcuno il tratto più caratteristico e impattante della sua fisionomia.

Se voi aveste degli incisivi così, li usereste solo per mangiare? Pensateci. Non sareste sempre tentati di metterli alla prova? Di trovare loro un’occupazione degna di tanto splendore? E perché allora stupirsi se ogni tanto Luis, nel fuoco dell’azione, invece di usare le mani, azzanna le carni degli avversari? E’ probabile che per Luis mettere sotto i denti qualcosa di coriaceo sia una necessità organica, come per il gatto farsi le unghie. E poi diciamo la verità: Luis non fa male a nessuno. Lascia un timbretto che dura qualche giorno e che scaraventa il malcapitato, cioè il fortunato, sotto la luce dei riflettori dei media di tutto il mondo, mentre il dolore scompare ancor prima che si esauriscano le smorfie sul suo viso.

Insomma, Luis Suarez è un personaggio che riconsegna al calcio quella ruspante umanità che da troppo tempo latita sui campi da gioco, e alla fin fine i suoi morsicotti sono per chi ne è vittima un’occasione d’oro per dimostrare la propria lealtà, virilità e longanimità. Lo ha detto anche De Rossi: servono gli uomini, non le figurine. Voleva dire «signorine», si capisce, ma per questa volta lo perdoniamo.