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Calcagno: “Se non risolviamo la questione contagi vuol dire che il calcio non può ripartire”

Queste le parole del vicepresidente dell'AIC tra stipendi, scadenza contrattuali e le discussioni con il ministro Spadafora

Redazione

Stipendi, ritiri e ripresa. Il vicepresidente dell'Associazione Italia Calciatori, Umberto Calcagno, fa il punto della situazione sui vari aspetti caldi del calcio italiano. Il numero due dell'AIC è intervenuto a 'tuttomercatoweb.com', a pochi minuti dal via libera del CTS al protocollo per la ripresa degli allenamenti collettivi:

Fiducioso per un via libera alla ripresa?

Sì, devo esserlo. La nostra responsabilità è di farsi trovare pronti se le autorità ci diranno che possiamo convivere col virus. Stiamo facendo ragionamenti, sembra ci siano partiti contrapposti nel nostro mondo ma la verità è che ci siamo affidati a chi se ne intende, e stiamo lavorando perché il nostro sport, che prevede il contatto, sia attuabile. Se non fosse arriverebbero problemi.

I calciatori vogliono garanzie sulle scadenze contrattuali al 30 giugno?

Certo, c'è una circolare FIFA che è stata molto chiara: dovranno avere una corsia preferenziale i prolungamenti per l'eventualità di una stagione sportiva che arrivi fino ai primi agosto, certamente per la Serie A, ma anche per fine agosto per B e C che non hanno il problema delle coppe europee. La FIFA non può intervenire sui casi individuali, così come le parti collettive. Chi è in scadenza o in prestito dovrà vedersi rinegoziato l'eventuale prolungamento, chi è già su più anni non avrà problemi. Delle linee guida possono essere fornite, e ci stiamo lavorando con FIGC e Lega. I termini giuridici impongono vincoli che non potremo superare, ma credo che se la stagione sarà prorogata di un mese, un mese e mezzo, non credo ci saranno problemi.

Anche chi ha già trovato nuovi accordi futuri dovrà aspettare la nuova deadline?

Esatto, e questo lo ha già stabilito la FIFA. Nel caso in cui, come per noi, ci sia un prolungamento della stagione, lo fanno anche le scadenze contrattuali. Le scadenze economiche però non è detto che debbano rimanere tali, e qui difficilmente si potrà incidere sui rapporti singoli. Con tutti i problemi che abbiamo avuto, penso che con un po' di buonsenso ci si possa mettere d'accordo.

Che pensa delle misure economiche per il calcio?

Ci siamo spesi molto per i provvedimenti: una Cassa integrazione fino a 50mila significa darla a 50% dei professionisti e al 70% della Lega Pro. Con questa abbiamo anche un accordo per l'istituzione di un fondo di solidarietà che andrà ad incidere individualmente: le società ci hanno garantito che pagheranno fino al minimo federale. Sono provvedimenti importanti, così come quello per i dilettanti. Il Ministro ha capito anche le nostre necessità e, anche grazie all'intervento del CONI, siamo riusciti ad estenderlo agli atleti. Per loro è un piccolo contributo, sono dilettanti ma di fatto professionisti: sostengono se stessi e le loro famiglie con lo sport. Il fondo di solidarietà interverrà anche sui dilettanti, sono prime somme che poi andranno integrate.

Cosa pensa dell'operato di Spadafora?

C'è unità d'intenti. Anche all'interno del nostro mondo siamo compatti, lavoriamo assieme per la ripresa. Sono preoccupato perché abbiamo alcuni problemi ancora irrisolti, tra cui quello dei contagi, e se non riusciamo a risolverli significa che il nostro mondo non può convivere con il virus. Questo aspetto mi preoccupa, sugli altri c'è unione, al di là delle questioni di comunicazione.

Come siete posti sul problema dei maxi-ritiri?

Il fatto dei ritiri è perché si isolava un gruppo di giocatori per due settimane salvo riaprirli alla terza, non aveva molto senso. Così come non si può pensare con certezza che non ci possa essere un contagiato nelle prossime settimane. Se sarà convalidato il fatto che il primo contagiato deve andare a far isolare le squadre nelle loro strutture, il problema rimane. Non tutte le squadre hanno strutture loro, e vorrei una mano dal Comitato Tecnico-Scientifico.

Quanti margini ci sono per arrivare alla fine?

Il problema non sono i tamponi, se non per qualche zona del nostro paese. I protocolli si basano anche sul fatto che ci siano i tamponi per tutti, e se questi vengono a mancare stiamo parlando del nulla. Il gruppo squadra che deve stare chiuso 14 giorni senza poter disputare partite di campionato, è un problema da risolvere a monte, dato che un contagiato potrebbe emergere pure a ridosso dell'inizio. O la curva epidemiologica ci consente di riprendere, o dovremo dirci che gli sport di squadra non si possono disputare. Ma per quanto dovremo convivere con il virus? Ce lo chiediamo pure per le categorie minori e per i dilettanti. Speriamo che i protocolli migliorino anche sotto il lato dei costi, ad oggi ci dicono che per pochi sono applicabili. Ma siamo sicuri che queste spese non diventeranno strutturali? Non vorrei che si stesse rinviando il problema, perché ci troveremmo comunque con i nodi al pettine tra qualche mese.

Si può riassumere il pensiero dei calciatori?

Sicuramente il periodo d'incertezza non aiuta. Veniamo tutti da sessanta giorni chiusi in casa, e non abbiamo certezze sulle modalità. Anche tra i calciatori ci sono pensieri differenti, tra chi ha avuto a che fare direttamente con il virus, o chi vive in una certa zona rispetto magari a chi vive al sud ed ha avuto un approccio diverso con il contagio. Dobbiamo assumerci le responsabilità, per tutto l'indotto esterno ma soprattutto interno: se non si dovesse ripartire non vorrei che patissero le maggiori conseguenze le basi della piramide. Non significa ripartire a tutti i costi, ma cercare soluzioni.

Preoccupato per la base?

Le strutture non ci aiutano a nessun livello. Sono però anche speranzoso, e spero in risposte della comunità scientifica. Ci sono anche previsioni meno positive secondo cui in autunno l'epidemia riprenderà, se dovessimo nuovamente fare i conti con questa non sarebbe solo lo sport a risentirne. Spero in protocolli meno onerosi, così da tornare a lavorare tutti quanti in condizioni che si avvicinano alla normalità.

Il protocollo tedesco è l'unica strada?

Non mi piace fare paragoni, la Germania ha trattato diversamente il virus da noi. Non si può pensare di avere gli stessi protocolli se viviamo in maniera differente.

Cosa succederà nel Consiglio Federale?

Dovremo iniziare a pensare ai campionati, e a norme sull'iscrizione che possano ottemperare agli interessi di tutti. Inimmaginabile che alcune realtà possano rinunciare ad uno o due stipendi, ho giocato 15 anni in C e se mi avessero chiesto di rinunciarci, non avrei potuto spingermi oltre un certo limite. Abbiamo una grande responsabilità verso questi ragazzi, non sarebbe giusto scaricare su loro i problemi delle società e il peso dell'epidemia.

Ci si è troppo preoccupati della questione stipendi?

Siamo abituati alla demagogia, l'immagine del sistema è questo. Quando dico che il 50% dei calciatori italiani è sotto i 50mila euro lordi, la gente non ci crede e pensa che la Cassa integrazione sia strana o non dovuta. In questa situazione però ci sono ragazze e ragazzi che stanno davvero patendo tanto. E non si può pensare che in Serie B siano costretti a rinunciare a più mensilità rispetto a quelle previste dagli accordi di A. Dovremo uscirne tramite le giuste riforme, che non sono quelle che leggo ultimamente sui giornali. Vogliamo una riforma di sistem.