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Kluivert: “Con questo cognome ci si aspetta tanto da me. La dedizione è tutto”

LaPresse

Il giovane attaccante della Roma si racconta: "Avevo circa 14 anni quando ho pensato di poter diventare un calciatore. Ammiro mio padre, continuo ad imparare molto da lui. Nulla cade dal cielo, se hai un sogno devi fare tutto per realizzarlo"

Melania Giovannetti

Justin Kluivert torna a parlare. Il giovane attaccante della Roma si è aperto ai microfoni di 'The Players' Tribune' per raccontare la sua infanzia e l'inizio della sua carriera da figlio d'arte di papà Patrick. Ecco le sue dichiarazioni:

"Abbiamo un padre famoso, il cognome Kluivert… tante persone si aspettano tantissimo da te anche quando sei piccolo, già a nove anni. Pensano che sarai il prossimo. E nella mia testa mi dicevo: “Aspettate, ve lo farò vedere sul campo. Ve lo farò vedere”.

Casa nostra era a Noorderspeeltuin. Saltavamo la staccionata ed eravamo subito sul campo di gioco. Era molto facile. Quando nostra madre ci urlava di tornare a casa, quando faceva buio oppure se era pronto a tavola, saltavamo di nuovo. È lì che abbiamo imparato a giocare a calcio, lì mi sono fatto le ossa e ho imparato le basi. Giocando contro i ragazzi più grandi, cadendo, rialzandomi, perdendo e vincendo.

Avevo circa 14 anni quando ho pensato “Sì, posso fare qualcosa nel mondo del calcio”. Già da qualche anno giocavo per l’Ajax, stavo andando bene. In quel periodo ho capito di avere delle buone qualità che avrebbero potuto essermi utili. E sì, quello è il momento in cui pensi come un ragazzo grande. “Posso essere così bravo. Mi allenerò così, lavorerò meglio sul mio tiro e sul mio dribbling”. In quel momento tutto è diventato un po’ più reale.

Ammiravo mio padre, è stato un grandissimo giocatore. Anche io volevo diventare un calciatore come lui. Penso di aver lavorato duramente per farlo, ho lasciato tante cose da parte. Ho imparato molto da mio padre, e sto ancora imparando. Sono grato di avere qualcuno così nella mia vita che possa darmi consigli da cui posso imparare. In questi giorni vedo ancora il suo nome spuntare quando si parla di calciatore più giovane a segnare in Champions League, questo o quell’altro. È bello che abbia raggiunto quei record. Penso “È stato molto bravo, ma era un attaccante e quindi doveva segnare” (ride, ndr).

La dedizione è tutto. Nulla cade dal cielo. Devi volerlo veramente, perché se chiedi a 100 ragazzi di 15-16 anni se vogliono diventare dei grandi calciatori professionisti, tutti diranno di sì. Il giorno dopo, però, vanno a una festa oppure dormono fino all’una. La dedizione deve esserci sin da quando si è piccoli. Parli con te stesso e ti dici: ‘Vuoi andare con i tuoi amici ma domani hai una partita? Allora domani non segnerai’. È così che devi pensare. Il giorno dopo giochi il match dopo essere andato a dormire presto e segni. È questo a darti buone sensazioni, sai che ti aiuta. Ovviamente a volte puoi uscire con i tuoi amici, ma devi sapere quando puoi farlo e quando no. Se hai un sogno, devi fare di tutto per realizzarlo. Devi lasciare tutto il resto per arrivarci, è questo il punto cruciale.

Sui miei scarpini c’è il mio cognome. Sullo quello sinistro c’è la bandiera dell’Olanda, la mia parte bianca, quella di mia madre. Sul destro ho le due bandiere del Suriname e di Curaçao. È la nazionalità di mio padre e anche la mia. Sul piede sinistro c’è anche la bandiera di Amsterdam, perché è da lì che vengo".

Tradizione a cura di Melania Giovannetti