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Garcia-Roma, una parabola fatta di parole

Due anni e mezzo, dall'esaltazione all'agonia nelle frasi del tecnico francese.

Mirko Porcari

Storia di parole e sogni buttati. Quando si tratta di rimpianti la Roma trova sempre il suo spazio, in fondo la sofferenza fa parte del dna di ogni tifoso giallorosso. Di semplice non c'è niente, men che meno un addio a chi ti ha sedotto ed abbandonato, facendoti alzare la testa dalle macerie di un maggio nerissimo e donandoti l'orgoglio di un'appartenenza sul campo. Almeno con le parole.

In verità non era cominciata benissimo. "Chi contesta è della Lazio" un'affermazione piena di buoni propositi ma avara di tempismo: di mezzo c'erano Osvaldo, il 26 maggio, i tifosi ed un ambiente da riconquistare, la faccia ed il piglio del tecnico transalpino piacevano quasi a tutti. Era giusto regalare credito. L'uomo della Provvidenza avrebbe parlato francese.

Un pò di psicologia, molta teatralità ed un gran numero di risultati positivi: il mix perfetto aveva fatto capolino tra i banchi della sala stampa di Trigoria, dove ogni vigilia di partita era vissuta con l'ardore di una scoperta. "Cosa dirà questa volta?" la domanda più ricorrente, tra tifosi ed addetti ai lavori, lasciava trasparire la voglia di novità che piano piano spingeva lontano l'immancabile perplessità: in pochi conoscevano l'ex Lille prima del triplice accordo con Pallotta e Sabatini, ma la squadra volava in campo e l'essenza di un feeling da coltivare rappresentava l'unica cosa davvero importante.

LA CHIESA - "Un derby non si gioca, si vince" petto in fuori e bando alle ciance, in poco più di 24 ore il mondo romanista aveva ripreso vita in un'esplosione di colori: "Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio" attingere a piene mani dal vocabolario delle frasi fatte per toccare il cuore dei propri tifosi, la bucolica semplicità di un detto francese per suonare la carica nei vicoli di testaccio. La vittoria con la Lazio aveva suggellato una storia d'amore.

In tanti avevano ricordato quel "non ho paura di niente" pronunciato all'arrivo nella Capitale: Rudi Garcia era diventato "uno di noi", nella bellezza di una cavalcata senza precedenti c'è stato lo spazio giusto per ritrovarsi "ad essere un romanista" nel senso più sublime del termine.

Era l'apoteosi, creata dalla voglia di rivincita e dalla sensazione di un progetto finalmente vincente: "Anche io, come la società, voglio fare della Roma una delle grandi squadre d'Europa. Ma per fare questo serve tempo." Una concezione, quella temporale, che rimane sospesa in attesa di giudizio: quello che contava, nell'immediato, era che l'allenatore transaplino aveva trovato la formula perfetta per regalare armonia allo spogliatoio ed un sogno agli innamorati giallorossi.

Dieci vittorie consecutive ed una seconda parte di campionato passata a duellare con la Juventus: "Voglio vedere undici lupi incazzati" il desiderio a poche ore da una gara interna contro la Sampdoria, guardando la marcia inarrestabile dei bianconeri e puntando la propria attenzione a stagioni ancora più fortunate; il bilancio del primo anno è quanto mai positivo, fatto di tante soddisfazioni sul campo ed una serie di parole capaci di riempire un libro vendutissimo.

VIOLINO - Tempo di conferme e sogni di gloria, il secondo anno si apre con lo stesso entusiasmo del campionato precedente: buon gioco, spirito di sacrificio e risultati, tutto sembra essersi fermato per attendere il successo romanista ma la strada verso la vetta passa sempre per gli angoli bui dello Juventus Stadium. È la sera del violino, degli insulti ad oltranza e di una gara segnata dagli errori arbitrali: "Dopo questa sera ne sono ancora più certo, noi vinceremo lo scudetto" un'uscita che in molti indicano come spartiacque nel rapporto tra il mister, la squadra e gran parte della tifoseria; arriveranno le sconfitte pesanti di Champions League ed un percorso altalenante in campionato, con il ridimensionarsi delle ambizioni di tricolore ecco addensarsi le sabbie mobili della critica.

La Roma che si trascina nel girone di ritorno è una squadra bruttina e povera di idee, nell'abulica serie di pareggi cominciano a notarsi alcuni limiti nella gestione tecnica e nelle scelte tattiche: "Forse c'è una divinità che vuole punirmi per la mia superbia..." il ritorno contro la Juventus è il momento del mea culpa, dove Rudi Garcia getta virtualmente la spugna nella lotta al primo posto e assume in pieno il ruolo di comprimario.

GAP - È in questi tempi che nasce tutto l'equivoco del terzo anno, l'inizio di una fine che incrinerà il rapporto tra tutte le componenti della Roma: l'ultima contro il Palermo fa da sfondo ad un dramma consumato tra microfoni e taccuini, in città non si parla più di secondo posto ma di quale sarà il futuro del tecnico. "Siamo i primi del nostro campionato, la Juventus è fuori concorso e non la considero" di mezzo ci sono potere economico e sportivo "il gap il prossimo anno sarà ancora più ampio, loro possono contare sugli introiti del loro stadio e non sono costretti a sottostare alle regole del fair play finanziario."

Mal digerite a tutte le latitudini, nonostante i tentativi di correggere il tiro nel dopo gara ("avete riportato solo quello che volevate voi. Ho parlato anche di quanto è bravo secondo me il nostro presidente Pallotta") da più parti si scommette su quante ore possa avere ancora Garcia sulla panchina romanista: l'estate, al contrario, porta una conferma quasi inaspettata ma è sempre più difficile credere che tutto possa tornare come il primo anno.

Tra i termini più in voga per il Garcia-ter ci sono "destabilizzazione", "delegittimazione" e "bilico", termini che accompagnano ogni giorno ed ogni settimana dei primi mesi di campionato: la squadra arranca, nel deserto dell'Olimpico vanno in scena partite brutte e prive di contenuti, in un bunker virtuale inizia la monotonia di un allenatore sempre più solo.

"Siamo concentrati sulla prossima partita" la tristezza si impadronisce di tutta la storia, nessun lieto fine è capace di sollevare un ambiente sempre più depresso: in un misto di sconforto e tenerezza è dura pensare agli spunti ed alle massime di un Garcia nel pieno della forma, quando il primo anno aveva riacceso la speranza nel cuore dei tifosi.

"Sono contento dei ragazzi, hanno dato tutto. Adesso pensiamo alla prossima partita" scivolano le gare, dall'illusione contro la Juventus alla batosta di Barcellona, passando per la vergogna di Coppa Italia ma non cambiano i toni di affermazioni senza contenuto: c'è la parola "fine" a chiudere un capitolo, la parabola del mister ha conosciuto tutti gli stati d'animo del mondo romanista, dall'esaltazione all'agonia nel giro di 2 anni e mezzo.Passati a chiedersi quanto tutto sarebbe potuto andare diversamente.