Cinquantatré giorni in tutto, quasi due mesi, scrive Andrea Pugliese su La Gazzetta dello Sport, è durata l'avventura di Ivan Juric alla guida della Roma. Un percorso che era iniziato anche bene, con due vittorie con Udinese e Venezia e un pareggio contro l'Athletic Bilbao e che invece è naufragato come una barca in balia delle onde in mare aperto.
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Cinquantatre giorni tra scelte sbagliate e il sogno di farcela
A dire il vero, nessuno a Roma aveva mai pensato che potesse essere un matrimonio felice. Troppa diffidenza nei confronti del tecnico, non dell'uomo. In un gruppo orfano di De Rossi, Juric è apparso subito un precario, uno di passaggio. Cosa che - è ovvio- ha complicato notevolmente i suoi piani. E anche il lavoro.
Poi Juric ci ha messo anche del suo, insistendo su alcuni concetti che gli si sono ritorti contro (con la Roma a +4 dalla zona retrocessione). Ad iniziare da un modulo (il 3-4-2-1) e uno stile di gioco (uomo contro uomo) che la squadra ha rigettato quasi subito. Angelino braccetto, Ndicka centrale inamovibile, Hummels umiliato spesso e volentieri, Dybala costretto a fare il terzino sono solo alcune delle sue scelte ostinate. A cui poi si sono aggiunte la fiducia incondizionata a Celik, il rilancio a vuoto di Zalewski e Pisilli trequartista, in una posizione in cui non ha il campo che gli serve per rendere al meglio. Infine Koné mediano, lui che è sostanzialmente una mezzala.
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