L'uomo con il megafono lo aveva cacciato; il provinciale inadeguato l'ha fatto diventare uomo. E pure giocatore vero. Gerson, scrive Mimmo Ferretti su Il Messaggero, è l'emblema di come si possa fare calcio (e bene) in diversi modi. Tipo, far giocare sempre gli stessi oppure ruotare in continuazione i propri uomini. Tutti i propri uomini. Anche quelli che pochi mesi fa erano stati accompagnati all'uscita senza neppure una pacca di ringraziamento sulle spalle.
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Un sorriso vale più di mille parole urlate al megafono
Gerson è l'emblema di come si possa fare calcio (e bene) in diversi modi. Far giocare sempre gli stessi oppure ruotare in continuazione i propri uomini
La posizione in campo attuale del brasiliano è piuttosto simile a quella tenuta nell'allora Juventus Stadium con Spalletti, cioè largo a destra. Solo che i suoi attuali compiti tattici sono diversi. E, soprattutto, è diversa la considerazione che l'allenatore ha nei suoi confronti. Gerson, lo avrete notato, non sorrideva mai, neppure in allenamento. Ma come: un brasiliano che non scherza, non si diverte neppure con i compagni? Esatto. Sabato in treno verso la Toscana insieme con i connazionali, con un sorrisone a mille denti. Per la prima volta, credeteci, sorridente.
Qui non si tratta di salire sul carro di Gerson (attenzione: solo posti in piedi su quello di Di Francesco); se mai, si vuole ricordare che prima di bocciare un calciatore, al punto di dare l'ok per la sua cessione definitiva, bisogna farlo giocare. Non basta definirlo bellino con i piedini. In molti, probabilmente, non ricordano che il brasiliano è più giovane del giovane Pellegrini e coetaneo del giovanissimo Cengiz Under. Ma tutto questo, vedrete, le galline del Cioni non lo sapranno mai.
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