Parte dai fallimenti delle società sportive che nel corso degli anni hanno gestito l’ippodromo di Tor di Valle l’inchiesta sul fallimento della Sais che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di almeno cinque persone, con l’ipotesi di bancarotta e di distrazione di fondi, tra i quali il titolare della società Gaetano Papalia (il fratello Antonio è deceduto un anno fa). E che ora mette in pericolo l’atto di vendita tra la Sais ed Eurnova di Luca Parnasi, con il rischio che il curatore fallimentare arrivi a revocare quell’atto di vendita e salti l’intero progetto di costruzione del nuovo stadio.
rassegna stampa
Tor di Valle, si indaga su altre 2 società
L'inchiesta sul fallimento della Sais parte dal fallimento delle società sportive che nel corso degli anni hanno gestito l’ippodromo di Tor di Valle.
LE AZIENDE - Sotto la lente del pm Mario Dovinola e del procuratore aggiunto Nello Rossi ci sono tre società. La prima è, ovviamente, la Sais, di proprietà della famiglia Papalia che da più di cinquant’anni possedeva l’area su cui sorge l’Ippodromo di Tor di Valle ormai dismesso. Seguono le due aziende che nel corso del tempo hanno gestito le attività sportive con relative scommesse autorizzate: la «Ippodromi e città», consorzio che riuniva alcuni ippodromi tra i quali Agnano a Napoli, Firenze e Roma appunto. E la società «Tor di Valle» che ha avuto l’amministrazione dell’area fino alla sospensione delle attività sportive in seguito alla quale la Sais ha deciso di interrompere il contratto di affitto.
Entrambe le società, prima la «Ippodromi e città» e quindi la «Tor di Valle» sono fallite nel corso degli anni. Visto che il primo fallimento toccava Agnano, la procura di Napoli ha aperto un fascicolo trasmesso a Roma per competenza. E a Roma, il pm Mario Dovinola ha deciso di iscrivere al registro degli indagati i dirigenti delle tre società che nel corso degli anni si sono succedute nell’area (due nella gestione, mentre la proprietà è sempre rimasta la stessa ndr).
LA TRATTATIVA - Stando all’ipotesi su cui lavorano gli inquirenti, però, la distrazione che avrebbe portato alla bancarotta avrebbe origine nella vendita del terreno ad Eurnova e quindi a Parnasi. L’accordo, infatti, è stato cambiato nel giugno 2013, tredici mesi prima del fallimento della Sais. Se il precedente accordo prevedeva delle clausole precise, compresa quella che vincolava la vendita alla conclusione degli accordi per la costruzione dello stadio, il secondo accordo, firmato tredici mesi prima del fallimento della Sais è molto più generico.
Troppo, secondo il curatore fallimentare e secondo il giudice fallimentare Umberto Gentili che per questo motivo ha deciso di non accettare il concordato preventivo e di far fallire la Sais con una sentenza emessa a maggio del 2014. Secondo il parere del giudice, se Eurnova a un certo punto decidesse di non pagare più il prezzo concordato, i creditori della Sais, che avanzano diritti per circa trenta milioni di euro, rimarrebbero con un palmo di naso. E, da questo punto di vista, a non deporre positivamente sulla validità dell’accordo c’è anche il fatto che Parnasi è già stato in alcune occasioni in ritardo con i pagamenti concordati.
LE DIFESE - Tutti elementi che potrebbero convincere il curatore fallimentare a revocare l’atto di vendita che, tra l’altro, è avvenuta undici mesi prima del fallimento di Sais, dunque un tempo molto breve. «L’accordo per la compravendita è garantito con proprietà immobiliari - spiega l’avvocato Giandomenico Caiazza che difende Gaetano Papalia - dunque è solido, anche se non ci sono le fidejiussioni bancarie».
Il curatore fallimentare potrebbe comunicare la sua decisione a dicembre, quando è fissata la data per l’appello sul fallimento Sais. Ed è inutile dire che se salta l’accordo per la vendita del terreno, potrebbe vacillare l’intero progetto per il nuovo stadio della Roma.
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