Alla fine il «sì condizionato» del Pd romano all’operazione calcistica-immobiliare di Tor di Valle è impastato di tormenti e autocritiche, dubbi pesanti e di «miglioreremo la delibera in Aula». E allora i paletti, gli ennesimi, diventano anche vie di uscita se qualcosa dovesse andar storto. Stupisce la tempistica: lo scetticismo dei democrat sullo stadio della Roma (e maxi cubature annesse) è arrivato all’indomani del via libera, sempre condizionato, dell’intera maggioranza e, soprattutto, a soli due giorni dalla giunta straordinaria che dovrebbe dare il benestare «all’interesse pubblico» dell’opera, seppur con una serie di prescrizioni che sembrano una linea Maginot.
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Tor di Valle, la frenata del Pd «sull’abbraccio con il privato»
Nella delibera che sarà presentata domani si lavora a questa linea: una penale di 200 milioni di euro qualora il presidente della Roma Pallotta volesse vendere lo stadio. Poi il tema delle infrastrutture da fare subito mettendole a gara.
Ribadita ieri dal Pd: subito il 70 per cento delle infrastrutture, legame indissolubile tra stadio e Roma introducendo una penale di 200 milioni in caso di vendita dell’impianto da parte di James Pallotta, messa a gara delle opere collegate (metro B, svincolo sul raccordo e ponte pedonale sulla ferrovia). «Meglio tardi che mai», apre le braccia a fine serata Lorenza Bonaccorsi, deputata renzianissima, che da giorni a colpi di annotazioni e critiche chiede «un dibattito per evitare gli errori del passato». E ieri, un po’ fuori tempo massimo, è stata accontentata. Centottanta minuti di interventi serrati, ma a porte chiuse in via delle Sette Chiese, la sede che a fine mese sarà lasciata, destinazione Flaminio.
Presenti al summit: due assessori (Marino e Leonori), diversi parlamentari (Coscia, Bonaccorsi, Di Stefano, Miccoli), molti consiglieri comunali con il presidente dell’Aula Coratti e un gruppo di consiglieri regionali (capitanati da Ciarla e Patanè) in versione auditori: dopo il sì del Comune la palla passerà alla giunta Zingaretti per la conferenza dei servizi.
LO SFOGO - Il capogruppo del Pd in Campidoglio Francesco D’Ausilio durante il conclave, dotato comunque di un’ottima acustica anche dall’esterno, ha detto: «C’è stata l’impressione di un abbraccio tra privato e amministrazione, la sensazione che tutte fosse stato già deciso. Noi, poi, abbiamo contribuito con una discussione disordinata dove si dava l’idea di mettere la sordina a chi poneva dei dubbi sull’opera. Dobbiamo uscire dall’angolo». Nelle parole del capogruppo dem - poi addolcite davanti alle agenzie a beneficio del sindaco Marino - la voglia del Pd di smarcarsi, rimanendo a vedere come andrà a finire «sapendo che è una scommessa che si può vincere». Senza mettersi né la casacca del costruttore Parnasi né quella dei pochi amministratori euforici del nuovo stadio (e dei novecentomila metri cubi di cemento da destinare a commercio e servizi nell’area di Tor di Valle).
L’AFFONDO «Il nodo della proprietà dell’impianto», rilanciato dal deputato Marroni insieme «alla messa bando delle opere pubbliche» è stato messo a fuoco anche dal collega Di Stefano, coordinatore del Pd Lazio: «Lo spirito della legge sugli stadi era un altro. Vorrei capire se è possibile inserire una clausola che modifica la legge rendendo gli stadi di proprietà dei club. Altrimenti ci troveremmo i presidenti imprenditori». Nella delibera che sarà presentata domani si lavora a questa linea: una penale di 200 milioni di euro (l’equivalente dell’interesse pubblico compensato con le cubature) qualora il presidente della Roma Pallotta volesse vendere lo stadio. Poi il tema delle infrastrutture da fare subito mettendole a gara.
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