Lo sanno tutti: la Roma non si discute, si ama. È un vero e proprio mantra inciso nei cuori del popolo giallorosso. E nel mio. Ma la vita è crudele, ribalta spesso tutto e ci mette davanti a situazioni difficili, come quella che sta vivendo proprio il popolo romanista. Improvvisamente, l'amore infinito e incondizionato è stato oscurato dall'ombra di un dramma e in questi ultimi giorni, in questi momenti di confusione totale, il mantra decennale si è come ribaltatato, diventando "Questa Roma si può discutere?" ma soprattutto "Come si può amare questa Roma?", scrive Enrico Vanzina su Il Messaggero. Ho usato la parola dramma, perché oramai di dramma si tratta. Da vecchio romanista, nel corso degli anni, ho intravisto molte volte il buio pesto, il tunnel dal quale era difficile uscire, la rabbia per quello che poteva essere e non è stato. Mai, però, noi tifosi della Roma ci siamo trovati davanti a una serie di sciagure evitabili, di scelte scellerate, di crollo non solo tecnico ma addirittura etico. Tutto questo nel giro di pochi mesi. Dal ritorno con Mourinho ad una vittoria in Coppa, dal furto con scasso con il quale ci hanno rubato la seconda Coppa (per me l'abbiamo vinta comunque), dalla scalata irresistibile del ranking Uefa, dai pienoni mai visti all'Olimpico, dall'entusiasmo rinato, al tonfo totale. Tutto inizia con l'esonero di Mou, mitigato dall'arrivo momentaneo di De Rossi, seguito dopo un battito d'ali dall'altro suo inqualificabile esonero, codificato con la scelta tecnica di Juric, fino al vuoto assoluto, tecnico e di risultati, che ci ha relegati nei bassifondi della classifica. Campioni in campo che hanno improvvisamente perso la loro luce, scelte di mercato insensate, tensione nello spogliatoio. E tutto questo con una proprietà assente, invisibile, sprezzante, silente, fredda, ondivaga, autolesionista, disinteressata ai risultati, motivata solo dall'idea di uno stadio futuro da costruire. Insomma, una catastrofe che sta dilaniando i cuori e l'orgoglio di centinaia di migliaia di tifosi innamorati del giallo e del rosso. E torna la domanda di prima: come comportarsi? La risposta più semplice, ma forse anche l'unica, è legata al cuore: è la maglia. Quella maglia che non si può tradire mai. Anche se l'hanno tradita nei colori pasticciati dagli sponsor. Restiamo saldamente attaccati alla maglia. A quella di Fulvio Bernardini e di Giacomino Losi, di Pruzzo e Bruno Conti, di Di Bartolomei e Candela, di Francesco e Daniele. Quella di Dino Viola e di Franco Sensi. Quella maglia che parla da sola, che ci rende diversi da tutti gli altri tifosi. Quella maglia bagnata di lacrime di dolore (tante) e da sprazzi di gioia. Ma così forti da azzerare il dolore. Noi siamo la Roma, non lo sono quei giocatori guastati dal denaro. Si può anche perdere ma sputando sangue. Oggi mi sembrano tutti in attesa di altra sistemazione e sembra che se ne lavino le mani.
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Il Messaggero
Roma in crisi, non ci resta che la maglia
Tutto inizia con l'esonero di Mou, mitigato dall'arrivo momentaneo di De Rossi, seguito dopo un battito d'ali dall'altro suo inqualificabile esonero
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