Non è una bella Roma, ma è una Roma che sta cambiando. E chissà se sarà pronta per il futuro, per quella piazza Champions che non si raggiunge dal 2018. Juric è l'allenatore che Friedkin ha scelto e con lui pensa, e spera, di andare avanti, scrive Alessandro Angeloni su Il Messaggero. Spera perché come sempre, tutto è legato ai risultati, che per ora non sono totalmente soddisfacenti. Come non lo è il calcio che stiamo vedendo, e questo si è (non) visto anche contro il Torino. Juric non è fermo, qualche segnale lo lancia. Soprattutto nelle scelte, che vanno verso una direzione, quella di una ripartenza. Con il Torino ha "salvato" solo Mancini (e Angeliño) dalla prestazione di Firenze, conservando sul suo braccio anche la fascia da capitano, che sarebbe spettata a Pellegrini e in seconda battuta a Cristante. Entrambi, tenuti fuori dall'undici titolare, "per scelta tecnica". Nessun malanno, nessuno ha dovuto "stringere i denti". Fuori, senza se e senza ma. E questo è un punto di svolta, considerando che Bryan e Lorenzo, insieme con Paredes, desaparacido per eccellenza sotto la gestione Juric. Loro tre hanno composto l'ossatura della Roma del recente passato, di Mou prima e soprattutto di De Rossi poi. Tre imprescindibili che hanno lasciato il posto ai vari Koné (2001), Le Fée (2000), Pisilli (2004). In più ha dato un segnale anche sulla campagna acquisti che ha visto uno dei protagonisti principali Matias Soulé, diventato la riserva di Baldanzi (2003). Juric ha fatto capire che Shomurodov non può essere considerato l'alternativa a Dovbyk: se non c'è l'ucraino, il centravanti è Dybala, nonostante i suoi limiti fisici. E' chiaro che uno come Soulé è/sarà un talento da non buttare a mare, per lui parla l'età (è del 2003) e l'investimento fatto (intorno ai 30 milioni), il problema è che al momento risulta fuori dall'idea tattica di Juric, e quindi dovrà aspettare.
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