rassegna stampa

De Rossi, il timore di finire come l’amico Totti

Daniele e il “no” all’offerta di Pallotta di fare il dirigente: poca operatività come sta accadendo per il Capitano. E spunta il ruolo di Franco Baldini

Redazione

Da una parte la voglia di continuare a giocare con la Roma; dall’altra la decisione di non rinnovargli il contratto, con il club pronto a far restare De Rossi in azienda (cit. Fienga) ma con mansioni inedite.

Non si è arrivati ad un accordo perché Daniele vuole continuare a fare il calciatore ("Ma loro non hanno voluto"), anche lontano dalla Capitale e forse nel nostro campionato (occhio all’estero, cioè Usa), e pure perché - analizzando il suo virgolettato - non condivide la gestione della Roma attuale, scrive Mimmo Ferretti su Il Messaggero.

Da qui il suo “no” all’offerta formulatagli dal ceo Fienga di restare/entrare nei quadri societari. Le sue parole aiutano a capire l’intera questione. "Il non rinnovo del contratto mi è stato comunicato ieri (lunedì, ndr), ma ho trentasei anni e non sono scemo. Ho vissuto nel mondo del calcio: se nessuno ti chiama per un anno o per dieci mesi, nemmeno per ipotizzare il contratto, la direzione è quella".

Chiarissimo il riferimento al presidente James Pallotta, che da oltre un anno non mette piede a Trigoria. Con una frecciata anche a chi rappresenta il bostoniano nella Capitale e che, al di là del mea culpa di Fienga, non ha preso in considerazione la faccenda nei tempi e con i modi dovuti. Problema sottovalutato? Troppo rinviato, piuttosto. "Non ho rancore nei confronti di nessuno, parlerò col presidente un giorno... E con Franco Baldini (sdoganato per la prima volta in Casa Roma, ndr)". Baldini, dunque, esiste. E da lontano detta la linea e suggerisce molte mosse a Pallotta.

"Io a un giocatore come me avrei rinnovato il contratto, perché quando ho giocato ho fatto bene e nello spogliatoio non creo problemi, anzi li risolvo. Se fossi un bravo dirigente, come dice Fienga, mi sarei rinnovato il contratto" dice De Rossi.

Poi, una frase che non lascia spazio a dubbi sui motivi che l’hanno portato a dire “no” alla scrivania. "Fare il dirigente non mi attira particolarmente, anche se qui a Roma avrebbe un senso diverso. La sensazione è che, anche guardando chi mi ha preceduto, ancora si possa incidere poco (e guardava Totti... ndr), si possa mettere poco in un ambiente che conosciamo bene. Faccio fare il lavoro sporco a Francesco e un giorno se cambierò idea lo raggiungerò. E’ vero che mi accoglieranno a braccia aperte, ma mi piacerebbe fare il lavoro che vorrei fare".

Traduzione: non voglio fare la fine di Totti, che due anni dopo il suo ingresso in società non ha ancora un ruolo operativo definito.