Usciamo dal guado e decidiamo chi siamo

(Corriere dello Sport - G.Dotto) Questa volta cadono solo cose buone dal cielo. Il rigore è l’unica cosa generosa di questa partita che inizia male e rischia di finire peggio senza la puntigliosa visione dell’uomo addizionale e, a seguire, la sgrammaticatura del gambone torinista che santifica un Pjanic fin lì inguardabile e poi finalmente vivo. Prima di allora, depressione fonda. A cominciare da quest’Olimpico desertificato e quei pochi sparsi che devono fare uno sforzo eroico sotto umido per dimenticare ciò che non è dimenticabile (il derby) e credere in ciò che è sempre più incredibile (una Roma di cui essere fieri). La Sud riesce anche a cantare e qui siamo al sublime.

Incassata la manna dei tre punti, ora tutti, ma proprio tutti, devono, ma sì, guardarsi negli occhi, ma come se gli occhi fossero pugnali. Questa Roma non può più restare in mezzo al guado. Non c’è più tempo. Deve decidere in fretta se diventare zemaniana o no. Se fare il salto nella fede o liberarsi di ciò che non capiscono e forse non amano. Zeman, soprattutto, deve decidere se diventare zemaniano. Il grandioso paradosso del boemo è di essere probabilmente prigioniero della personalità accecante di un meraviglioso 36enne che pretende palla ai piedi solo per il fatto di esserci, negando così però l’essenza del verticalismo zemaniano. In minore, il peccato originale di Pjanic.

In attesa di gettare a mare il dubbio, aggrapparsi, conviene, alle certezze. Che non sono poche. Perchè il futuro non sia troppo futuribile. Al fenomeno Marquinhos di ieri che si aggiunge all’altro Lamela di sempre, alla solidità dei Castan, dei Bradley (buonissima partita ieri) e dei Marquinho, giocatore avido e verticale fin troppo sottovalutato, alla militanza di Florenzi, ai Dodo e ai Destro che verranno. Soprattutto, la Roma, deve ritrovare la sua gente. Senza la quale è come una moglie che ha perso il marito e anche gli alimenti.