rassegna stampa roma

Una crisi che parte da lontano

(Corriere dello Sport-A.Vocalelli) Se ne va Ranieri che, dimostran­do con il suo gesto serietà e di­gnità, ha sentito però di aver su­perato quel sottile confine tra il possibile e l’impossibile. Impos­sibile pensare di andare avanti.

Redazione

(Corriere dello Sport-A.Vocalelli) Se ne va Ranieri che, dimostran­do con il suo gesto serietà e di­gnità, ha sentito però di aver su­perato quel sottile confine tra il possibile e l’impossibile. Impos­sibile pensare di andare avanti.

Troppo forte, evidente, lo scol­lamento con il mondo esterno e con la realtà interna. Ranieri, che pure lo scorso anno aveva svolto un lavoro quasi perfetto, stavolta ha d’altronde sommato errori su errori, fino ad arrivare ad alcuni incomprensibili cam­bi. Raramente ha fatto vedere un gioco apprezzabile. Rara­mente ha dato l’impressione di governare uno spogliatoio sem­pre più in fermento. Raramente ha dato l’impressione di sceglie­re secondo necessità, ma piutto­sto muovendosi con l’intento di non scontentare nessuno. Con un effetto boomerang: essere riuscito a scontentare tutti. Si è molto discusso sui quattro attaccanti e sul turnover. Par­tendo da una premessa sbaglia­ta: ruotare le punte per poi adat­tare a loro il gioco. Ranieri sa­rebbe invece dovuto partire dal modulo, dalle esigenze, per poi fissare le gerarchie. Anche per­ché Borriello, Vucinic, Totti e Menez hanno caratteristiche troppo differenti tra loro per es­sere intercambiabili. Se giocano Totti e Borriello oppure Menez e Vucinic non cambiano gli uomi­ni, ma cambia l’assetto. Si dice che i problemi della Roma fosse­ro e siano in attacco oppure - vi­sta la valanga di gol - tutti da ri­cercare nella difesa. Niente di più sbagliato. I problemi della Roma, che de­rivano dal continuo ondeggia­re nella scelta degli attaccanti e del numero degli attaccanti, so­no tutti a centrocampo. E’ il cen­trocampo che ancora oggi non sa qual è la formula, non sa se è stato plasmato per fraseggiare, per andare in profondità, per proteggere le fasce o le corsie centrali, per essere una diga o un elastico. E’ lì il problema del­la Roma, è lì il nodo da scioglie­re. Perché una cosa è giocare con Menez o senza Menez, una cosa è cercare Vucinic sul­l’esterno, una cosa è presidiare gli esterni perché servono i cross o le giocate per Borriello e Totti. Inevitabile, dunque, che ci sia un dopo Ranieri. Anche se sa­rebbe superficiale, ingeneroso, miope, pensare che rimuovendo Ranieri la Roma avrà risolto i suoi problemi. A decidere il suo destino, a trattare con lui i ter­mini dell’uscita, saranno gli stessi che avrebbero dovuto, o dovrebbero, anche loro presen­tare una bella lettera di dimis­sioni. Non c’è dubbio infatti che Ranieri sia stato lasciato colpe­volmente solo a governare una situazione ingovernabile. Esclu­si Pradè e Conti, che hanno avu­to sempre e solo le responsabili­tà tecniche, dov’erano - a comin­ciare dal presidente - quelli che avrebbero dovuto esercitare la loro funzione di controllo sulle continue e palesi insubordina­zioni? Dov’era anche Montali, che tutti dicono in questi mesi impegnato a fare da filo condut­tore con la banca? Era questo, o principalmente questo, il suo compito? Oppure anche lui, con il ruolo di ottimizzatore, avreb­be dovuto «ottimizzare» le ribel­lioni continue e certi inaccetta­bili comportamenti dello spo­gliatoio? E’ normale che ancora oggi Adriano sia in Brasile, pa­gato dalla Roma, a curare le sue malinconie? O che Pizarro sia stato due mesi a casa a curare il suo ginocchio? Di tutto questo, a cominciare dalle ribellioni, si è sempre chiesto conto (pubblica­mente) a Ranieri. Troppo facile. A cominciare dal presidente, per arrivare appunto ai dirigen­ti deputati, questo era un compi­to della società. Anche se inde­bolita da una cessione alle porte. Poi i giocatori. Le cui respon­sabilità sono talmente evi­denti da apparire banale l’eser­cizio di commentarle.Invidie sui guadagni degli altri, gelosie tattiche, tecniche, egoismi pale­si, gente di cui si sono perse le tracce, gente che non ci ha mai messo la faccia. In pochissimi, i soliti noti, hanno provato a tene­re dritto il timone mentre intor­no infuriava la tempesta e si sprecavano le insubordinazioni. Non c’è dubbio che le responsa­bilità della squadra siano infini­te. Una squadra che, sferzata dalla contestazione della gente, paradossalmente a Marassi ha giocato come mai era successo per 50 minuti. Poi cosa ha fatto? Ha fatto ciò che ha sempre fatto in questo campionato, si è spec­chiata nelle sue qualità, finendo accecata da se stessa. Era suc­cesso con lo Shakhtar: trenta se­condi dopo aver segnato, e dopo aver pensato di essere forte, la Roma ha incassato il gol del pa­reggio. E’ successo con il Genoa: trenta secondi dopo aver segna­to il 3-0, pensando di aver chiu­so la gara, la Roma ha incassato il 3-1 e ridato speranza agli av­versari. Il resto è stato un calva­rio, perché il Genoa ha segnato tre gol e ne ha sfiorati altri cin­que. Dall’altra parte non c’era la Roma. Ma un concentrato di contraddizioni, di equivoci, di una spavalderia che in un secon­do si può trasformare in paura. Una squadra che ha centrifuga­to Spalletti e un anno e mezzo dopo Ranieri. Due che sono sta­ti costretti a dire: io me ne vado. Sarà il caso di rifletterci.