(Il Messaggero - U.Trani) Troppo poco chiamarla rimpatriata.
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Ritorno al passato
(Il Messaggero – U.Trani) Troppo poco chiamarla rimpatriata.
Perché Fabio Capello e Francesco Rocca non sono due invitati qualsiasi e vederli insieme in un pomeriggio piovoso a Trigoria non può non fare un certo effetto a chi conosce lo spessore e la professionalità dei due allenatori e in assoluto il loro legame passionale con la Roma. Eccoli lì, dunque, a seguire l’allenamento di Luis Enrique, a stringere la mano a Daniele De Rossi e a respirare l’aria del centro sportivo Fulvio Bernardini che entrambi non vivevano da anni.
Il cittì dell’Inghilterra ha ricordi, però, più recenti: andò via dalla capitale di notte, nella primavera del 2004, avendo scelto la panchina della Juve. È leggenda quella fuga, perché il presidente Sensi lo lasciò libero, per qualche settimana, di trovarsi una sistemazione e interrompere il contratto con il club giallorosso. «Ho ritrovato tanti vecchi amici. Sono venuto qui su invito di Baldini». Insieme i due hanno poi raggiunto il San Paolo per seguire, uno accanto all’altro, la sfida di Champions tra il Napoli e il Manchester City. Capello, a Trigoria, pranza con Baldini e Tempestilli, saluta De Rossi e si ferma a parlare con Luis Enrique prima della seduta di lavoro. «Lo avrebbe voluto nel suo Real, ma proprio in quella stagione, quando arrivò Fabio a Madrid, lui si trasferì a Barcellona», racconta Tancredi, tornato quest’estate preparatore dei portieri della Roma. Fino a giugno lo sarà anche di quelli della nazionale inglese per l’Europeo in Ucraina e Polonia. «Bello rivederlo qui, ha fatto la storia della società giallorossa». Prima giocatore a fine anni Sessanta, nella stagione 2000-2001 allenatore del terzo scudetto. Niente incontro, però, con Francesco Totti, anche se ufficialmente nessuno ha tirato in ballo le vecchie ruggini tra i due. Il capitano era nella sala della fisioterapia e quando è sceso in campo il cittì era già uscito dal cancello principale del Bernardini.
«Sì, mi sono emozionato. Anche perché dalla mia ultima volta qui sono passati almeno venticinque anni, forse di più». Quasi trenta. All’epoca lo chiamavano Kawasaki, oggi Francesco Rocca fa l’osservatore di Cesare Prandelli. «Ero domenica sera a vedere Roma-Lecce e Baldini mi ha detto di venire a prendere un caffè alla ripresa degli allenamenti. La cosa mi ha fatto un grande piacere, anche perché nessuno mi aveva più ospitato qui da quando ho detto addio al calcio». Era il 1981. «Entrai a Trigoria, per la prima volta, nel settantotto. C’era solo un campo in erba, l’altro era in terra. Ora è una struttura splendida. Ricordo la mia camera, non sono andato a vederla: adesso lì ci sono gli uffici. Il mio primo compagno di stanza fu Carlo Ancelotti, appena arrivò in giallorosso».
Rocca è accompagnato dal primogenito Alessandro, 14 anni. «Ha voluto seguirmi, sa quanto sono legato alla Roma. È stata la mia sola squadra, è l’unica maglia che ho avuto addosso nella mia vita. Ho giocato con Sabatini: quando stavo male, nell’ultima mia tournée in America, entrava sempre al mio posto». Gli presentano Luis Enrique. Si fermano con lui i suoi ex giocatori nelle under azzurre: De Rossi, Okaka e Borriello. Il suo contratto con la Federcalcio scade nel 2013, ma la Roma nei prossimi mesi cercherà di convincerlo a tornare in giallorosso. Da direttore tecnico, con l’incarico di dettare le linee guida a tutti gli allenatori delle giovanili. La proposta, in tempi diversi, gli è stata fatta da Baldini e Sabatini. «Questa è casa tua». Kawasaki lo sa, anche se preferirebbe tornare in campo. Da allenatore, il suo mestiere. Al Tre Fontane, nell’ottobre del ’76, gli saltò il ginocchio in allenamento. Una trappola fatale nella sua carriera di campione.
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