(Corriere dello Sport - L.Cascioli) - «Questo è il mio gioco, e non lo cambio», ha urlato stizzito e deluso Luis Enrique dopo la rocambolesca sconfitta di Genova. E allora di partite ne perderà parecchie e vi spiego a tutti i perché.
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Mefistofele ora deve scegliere la sua squadra
(Corriere dello Sport – L.Cascioli) – «Questo è il mio gioco, e non lo cambio», ha urlato stizzito e deluso Luis Enrique dopo la rocambolesca sconfitta di Genova. E allora di partite ne perderà parecchie e vi spiego a tutti i perché.
Perché, pur avendo schierato in campo ventinove giocatori dall'inizio della stagione, la Roma non ha ancora un'ossatura, un profilo una parvenza di squadra. Resta un laboratorio calcistico esposto a tutti i rischi dell'improvvisazione. Tutti sono stati utilizzati come giocatori di complemento; solo un paio si possono considerare in servizio permanente effettivo. Troppo pochi perché la squadra acquisti autostima e coscienza di sé. A osservare bene la scucchia da sognatore del tecnico spagnolo, noterete qualcosa di luciferino. Con due cornetti neri sulla fronte abbronzata sarebbe la maschera di Mefistofele.
Forse è per questo che continua a perseverare. Un altro dei motivi per cui la Roma ne perderà tante di partite, continuando a giocare così è la leggerezza da minuetto del suo gioco offensivo. Bojan, Lamela, Borini ci sono parsi per un tempo figurine scampanellanti di un carillons, niente più. Ed è proprio questo stuolo di cicale canterine che ci ha fatto capire che alla Roma mancano ancora troppe cose per poter vincere senza soffrire. Le grandi squadre poggiano da sempre su delle grandi difese, Barcellona compreso, checché se ne dica. E questo lo sa Sabatini e lo sa meglio ancora Baldini, che ha condiviso molte esperienze vincenti al fianco di Capello.
E se proprio, incantati dalla personalità dello spagnolo, volevano tentare per una volta di rovesciare il teorema, allora avrebbero dovuto assicurare a Luis Enrique tali di quei campioni per sostenere il suo gioco d'attacco, che per classe, peso atletico e aggressività avrebbero dovuto surclassare ogli genere di avversari, come nelle strategie di Mancini. Guardiamo invece in faccia la realtà. La campagna di mercato della Roma ha messo a segno parecchi colpi interessanti, specie per gli sviluppi futuri del gioco, ma per realizzare la rivoluzione tattica di Luis Enrique, avrebbe avuto bisogno di almeno due attaccanti di quelli che a Sabatini sono sfuggiti o gli sono stati negati. Si è rimediato dopo la perdita di Vucinic, con un paio di surrogati come Osvaldo e Borini. Che in una squadra tatticamente più equilibrata potrebbero andare benissimo. Ma rappresentano (compreso Borriello) bocche di fuoco troppo modeste per chi ha intenzione di varare un'"Invincibile Armata".
Marassi è stato sempre un buco nero per la Roma: si è divorato due allenatori e ricordo che persino durante l'anno trionfale del ritorno della Roma in serie A, il Genoa seppe infliggere ai giallorossi due dolorose sconfitte. Ma buttarla in scaramanzia sarebbe un'imperdonabile indulgenza. Le sconfitte che più mi toccano sono quelle da addebitare agli allenatori. Un giocatore può sbagliare, è umano, un reparto può incappare in una giornata sbagliata, succede ancora, ma quando si verifica più di una volta il peggio, nonostante la squadra sia composta di giocatori eccellenti, capaci di sciorinare un gioco di una certa caratura stilistica, allora la colpa di certe sconfitte non può essere che del tecnico. Ma come si fa a mettere in discussione un uomo che rappresenta il nucleo centrale del progetto? Può farlo o può ricredersi solo lui.
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