rassegna stampa roma

Luis Enrique: 4-3-3 attacco e spettacolo

(Corriere dello Sport – A.De Pauli) – Dal 16 marzo scorso, giorno in cui il direttore generale barcellonese Andoni Zubizarreta ha annunciato ufficialmente, nella Sala Richard Maxenchs del Camp Nou, che Luis Enrique Martínez García...

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(Corriere dello Sport - A.De Pauli) - Dal 16 marzo scorso, giorno in cui il direttore generale barcellonese Andoni Zubizarreta ha annunciato ufficialmente, nella Sala Richard Maxenchs del Camp Nou, che Luis Enrique Martínez García non avrebbe rinnovato con il Barça B, la linea telefonica del giovane tecnico è rovente.

In Spagna sono convinti che “ Lucho”, com'è conosciuto nell'ambiente, stia all'amico Pep Guardiola, esattamente come André Villas Boas sta a José Mourinho. Nonostante la sua carriera sia appena agli inizi, con un'unica esaltante esperienza alla guida della miglior “ filial” blaugrana della storia, più di un club di Primera División si è già fatto avanti per assicurarsi i servigi dell'ambizioso allenatore asturiano. Maniacale e perfezionista in ogni aspetto della vita, piuttosto spiccio in quanto a carattere, votato a un calcio aggressivo e spettacolare, Luis Enrique pare aver già rifiutato, nell'ordine, le allettanti proposte di un Atletico Madrid in piena ricostruzione, dello Sporting Gijón, squadra della sua terra e del debutto in Liga, oltre che quelle di Valencia e Siviglia. Il sogno neanche troppo nascosto dell'ex di Real e Barça e quello di allenare, prima o poi, proprio la prima squadra blaugrana.

In attesa che l'ex compagno Guardiola si faccia da parte, “ Lucho” ha bisogno di un progetto ambizioso e di una esperienza che possa fargli fare un ulteriore salto di qualità, anche a livello internazionale, che pare coincidere alla perfezione con la fisionomia della nuova Roma degli americani. Andiamo alla scoperta del tecnico più corteggiato di Spagna. Classe 1970, asturiano di Gijón, Luis Enrique, come calciatore è stato il classico “todocampista”, come in Spagna amano definire gli atleti poliva­lenti, capaci ad adattarsi a più di un ruolo. Esploso come centra­vanti nelle fila dello Sporting, si guadagna le attenzioni del Real dopo aver trascinato la squadra della sua città a una storica qua­lificazione in Coppa Uefa, nella stagione 1990- 1991, nella quale mette a segno 14 reti, l'ultima e decisiva al «Mestalla» di Valen­cia. La prima stagione a Madrid, in cui viene impiegato come ter­zino sinistro e mezzala, è piutto­sto deludente, ma si rifà in esta­te, conquistando l'oro olimpico a Barcellona. Agli ordini, prima di Benito Floro, poi di Jorge Valda­no, con cui vince la prima Liga della carriera, “Lucho” torna al­le travolgenti prestazioni degli esordi. Generoso, instancabile, dotato di buona tecnica e di istin­to da goleador, entra indelebil­mente nell'immaginario colletti­vo spagnolo nel luglio del 1994, quando, con il naso rotto e la “ca­miseta” macchiata di sangue, per una gomitata in piena area di Mauro Tassotti, diviene il simbo­lo della dolorosa resa spagnola, ai Mondiali statunitensi, per ma­no degli azzurri. La seconda gio­vinezza calcistica di Luis Enri­que ha inizio due anni dopo, a se­guito del suo trasferimento agli acerrimi nemici del Barça. Scel­ta contestata quanto azzeccata, visto che i blaugrana, guidati da Sir Bobby Robson, coadiuvato dallo stratega e traduttore José Mourinho, conquistano Super­coppa di Spagna, Coppa del Re e Coppa delle Coppe. L'anno se­guente arriva Van Gaal insieme al primo scudetto catalano per Luis Enrique che, libero di sva­riare a centrocampo, mette insie­me un bottino di 18 gol. L'olim­pionico “Lucho” appende le scar­pe al chiodo, nel 2004, già in pie­na epoca Rijkaard, con un ricco palmares, che, tra i vari titoli, comprende tre scudetti e tre cop­pe del Re, e un bottino goleador liguero di 102 reti, oltre al patri­monio di una stretta amicizia con Pep Guardiola, con cui condivide lo spogliatoio per 5 anni. Dal 18 giugno del 2008, Luis Enrique guida il Barça Atletic, tornato a chia­marsi ufficialmente Barça B, per sottolineare l'indissolubile lega­me con la prima squadra, dal­l'arrivo del nuovo presidente Sandro Rosell. La brillante idea di affidare “el filial” all'asturia­no, però, è stata dell'antecessore Joan Laporta, consigliato, a quanto pare, niente meno che da Guardiola, che negli stessi gior­ni rilevava Frankie Rijkaard. Anche per questo, molti conside­rano “Lucho” un allievo di Pep, anche se l'anagrafe svela che l'ex di Brescia e Roma sia più giova­ne di otto mesi. A differenza del buon amico, Luis Enrique non è un prodotto della celebre “can­tera” blaugrana, ma si è forma­to in squadre minori della nativa Asturia, prima di raggiungere il grande calcio, a 18 anni, con l'ap­prodo allo Sporting. Non può considerarsi, quindi, un vero al­lievo di Johan Cruyff, l'uomo della svolta barcellonese che, a partire dal 1988, ha imposto la filosofia del possesso palla e del calcio offensivo, dai ragazzini di otto anni fino alla prima squa­dra, perfezionata poi dallo stes­so Guardiola. L'asturiano, però, ha potuto apprendere molto dai successori Bobby Robson, Louis Van Gaal e, soprattutto, da Char­lie Rexach, il più fedele adepto dell'olandese volante. Convinto assertore dell'ormai tradiziona­le 4- 3- 3 blaugrana, “ Lucho” in un primo tempo aveva pensato a un progetto biennale, ma dopo aver raggiunto una promozione in seconda divisione, attesa 14 anni, ha deciso di rimanere un anno in più, per consolidare il progetto. Scommessa vinta, con la storica qualificazione ai play off per la promozione in Prime­ra, che la squadra non potrà di­sputare per questioni regola­mentari, visto che due compagi­ni dello stesso club non possono militare nello stesso torneo. Pa­ladino di un calcio aggressivo e spettacolare, Luis Enrique ha ri­vestito un ruolo determinante nella definitiva esplosione di giocatori come Pedro e Thiago Alcantara, figlio dell'ex Lecce e Fiorentina Mazinho. E’ sufficiente accennare il nome di Luis Enri­que per far sbiancare i cronisti sportivi catalani. Allergico a tele­camere e microfoni, “Lucho” fi­nora ha declinato, con una certa energia, qualsiasi invito a confi­darsi con i reporter. In questo senso, assomiglia molto all'amico Pep Guardiola, che si concede so­lo agli appuntamenti comandati della conferenza stampa della vi­gilia e del postpartita, con la dif­ferenza che l'asturiano non ha la compiacenza di accompagnare il diniego con la proverbiale corte­sia del collega catalano. Si aspet­tano tempi duri per gli appassio­nati giornalisti della capitale, abi­tuati, ultimamente a tecnici ben più mansueti. Che fosse difficile localizzare Luis Enrique lo si era capito già, al momento dell'addio al calcio, quando fece perdere let­teralmente le sue tracce. Dopo qualche tempo si scoprì che si era rifugiato con tutta la famiglia in Australia, per concedersi un anno sabbatico da dedicare alla vec­chia passione del surf, sport pre­diletto da gran parte dei ragazzi­ni delle Asturie. Nel 2005, “Lu­cho” è, poi, ricomparso improvvi­samente sulle vie di Manhattan, dove ha preso parte alla marato­na di New York. Instancabile, asciutto come ai tempi dell'attivi­tà agonistica, si è presentato in più di una occasione ai nastri di partenza anche in diverse gare di triathlon. Nonostante il carattere un po' burbero, l'attuale tecnico del Barça B ha partecipato a più di un'iniziativa benefica. Ultima­mente non ha esitato un attimo a mettere all'asta alcuni dei suoi più preziosi cimeli a favore del­l'associazione “Anima”, che si oc­cupa del recupero estetico dei pa­zienti sottoposti a terapie invasi­ve, per estirpare un cancro. Tra le maglie raccolte nel corso dell'in­tera carriera, figuravano anche quelle di Pessotto, Di Livio, Bal­lack e dell'ex compagno Puyol. Padre di tre figli, ha già fatto sa­pere che prima della nuova firma si concederà un po' di tempo da trascorrere con l'ultimogenito, di solo un anno, che non ha potuto frequentare quanto avrebbe volu­to a causa della sua maniacale ap­plicazione al lavoro.