(La Repubblica-M.Pinci) Nel nome del padre. Se la vita di Erik Lamela fosse un romanzo, i ruoli del fedele alleato e dello scomodo sfidante li incarnerebbe una sola persona:il papà José.
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Lamela studia da campione. Dal mito di papà “Panadero” ai dvd sui gol di Totti
(La Repubblica-M.Pinci) Nel nome del padre. Se la vita di Erik Lamela fosse un romanzo, i ruoli del fedele alleato e dello scomodo sfidante li incarnerebbe una sola persona: il papà José.
Non si dà pace, Erik: «Mi segue ovunque, ma ha sempre qualcosa da ridire». C’era anche per il debutto del figlio all’Olimpico, don José Lamela: «Bel gol, ma gioca troppo vicino agli attaccanti».Critico, come ai tempi del River: «Lo avevo sfidato dicendogli che gli avrei regalato la maglia del debutto. Così è stato», racconta il numero 8 della Roma, cresciuto nel mito di un genitore noto come “el Panadero”, il panettiere, per il forno di famiglia e campionissimo di papi futbol, il nostro calcetto. Passione ereditata da Erik che, appena può, corre a vedere i match di calcio a 5 del suo amico Giustozzi, con la Canottieri Lazio. Ma Roma gli ha regalato anche un nuovo idolo: Francesco Totti.
Ogni giorno il trequartista argentino accende il dvd per studiare i filmati con le imprese del suo capitano, per emularlo, rapito dal gesto di Francesco di cedergli la villa a Casal Palocco. Lì oggi Erik vive con la sua ragazza Sofia Herrero insieme a papà, mamma, e ai fratelli Axel e Brian, che ha inventato per lui il soprannome “Coco” e ora lo sfida alla Playstation3, tra giochi di calcio e guerra. Non deroga sulle uscite: niente discoteca, solo qualche aperitivo con Okaka dopo la pizza in centro in famiglia per festeggiare il primo gol. Attenzioni mutuate dal papà, come il tifo per l’Atletico Collegiales, club di terza serie della città di Munro: non era raro vederlo sugli spalti del “Malavern y Posadas” con la maglia tricolor, «Quella con cui sogno di ritirarmi », racconta. Presto per pensarci, a 19 anni. Ma i sogni di Lamela sono così, girano al contrario: a 12 anni, enfant prodige del River, ammetteva senza timori: «Tifo Boca». Oggi che guarda «tantissimo calcio in tv», segue via satellite soprattutto i Millonarios: una fede all’Instituto River Plate, dove ha studiato con altri talenti del club fino al diploma del 2009.
A prenderlo da Carapachay andava mamma Miriam, 60 km al giorno. Nello stesso anno “el Coco” ha scoperto anche un’altra fede, quella cattolica: «Mi ha cambiato la vita, a scuola insultavo gli insegnanti, ora so perdonare». Nello spogliatoio però è ancora «el mas molesto»: niente ipod, tante chiacchiere e scherzi. A Trigoria deve ancora iniziare a farne: perché il look aggressivo (cresta ai capelli, orecchini, 4 tatuaggi, l’ultimo per la nonna scomparsa) nasconde un timido che ama le vacanze in famiglia, come quelle di luglio a Napoli. Unico vezzo, la Porsche Cayman nera regalata al papà: il tempo delle sfide è finito.
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