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Il calcio italiano vive solo di tv. Abete: stadi nuovi o siamo out

(Il Messaggero) Il calcio è tv dipendente ed è in forte ritardo, come ricavi e fatturato, rispetto ai grandi campionati d’Europa.

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(Il Messaggero) Il calcio è tv dipendente ed è in forte ritardo, come ricavi e fatturato, rispetto ai grandi campionati d’Europa.

E’ quanto emerge dal dossier Report Calcio 2011, che analizza il movimento calcistico italiano sotto il profilo economico e finanziario. Il documento - elaborato dal Centro Studi, Sviluppo e Iniziative speciali della Figc con l’agenzia di ricerche e legislazione Arel e PricewaterhouseCoopers, e presentato ieri mattina a Roma nelle sale di Palazzo Altieri - evidenzia come in Italia sia sbilanciato il rapporto tra ricavi da diritti televisivi e la rimanente parte di introiti.

Per la prima volta nella sua storia, la serie A ha sfondato il tetto dei 2 miliardi di valore della produzione, con i diritti tv che però hanno inciso per il 48% (999,4 milioni di euro). Il 65% dei ricavi deriva proprio dai soldi delle televisioni (50% in Inghilterra, 38% in Spagna e 32% in Germania), mentre le entrate da sponsor e merchandising, e da stadio, toccano rispettivamente il 20 e il 15%. Tutto questo, nell’ambito di una perdita netta prodotta dal calcio professionistico italiano, nella stagione 2009-2010, pari a 345 milioni e 536 mila euro, con solo 15 dei 132 club professionistici che hanno riportato un utile. Enorme il distacco dalla Premier League sul fronte del fatturato: 2.440 milioni in Inghilterra contro 1.536 milioni di euro della serie A.

La forte incidenza percentuale dei diritti tv rappresenta quindi il segnale delle difficoltà delle società italiane a sviluppare altre forme di ricavo legate allo sfruttamento del marketing e del merchandising e dello stadio. «Sarà indispensabile nei prossimi anni avviare una nuova generazione di stadi perchè il ritardo accumulato è al limite», ha sottolineato in merito Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, intervenuto alla presentazione del dosser insieme al sottosegretario con delega allo Sport, Rocco Crimi, al segretario generale dell’Arel (e vicesegretario del Partito Democratico) Enrico Letta, e al responsabile del Centro Studi, Sviluppo e Iniziative speciali della Figc, Michele Uva.

Il tema degli stadi di proprietà, però, è strettamente connesso al disegno di legge sull’impiantistica sportiva, da un anno fermo alla Commissione Cultura della Camera. «Si sta cercando una sintesi e mi auguro che si possa chiudere entro l’estate, o subito dopo, per poi tornare al Senato entro l’anno e far approvare questa legge», ha dichiarato Crimi. L’età media degli stadi italiani, oggi è di 69 anni, anzianità che si ripercuote sulla fruibilità visto che il tasso di riempimento degli stadi italiani è fermo al 61%, contro il 92% di quelli inglesi, l’88% per i tedeschi, il 73% spagnolo e il 69% della Francia. In tutto questo, incide anche una politica poco attenta ai giovani calciatori: valorizzare i vivai significherebbe risparmiare su acquisti e ingaggi.

L.Pas.