rassegna stampa roma

Ditelo con una maglia le parole diventano storia

(Il Messaggero – F.Persili) Una squadra, la Roma. Una maglia, la 10. Qualcosa è per sempre. Si festeggia il Royal Wedding di Totti con il giallo, il rosso e il gol.

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(Il Messaggero - F.Persili) Una squadra, la Roma. Una maglia, la 10. Qualcosa è per sempre. Si festeggia il Royal Wedding di Totti con il giallo, il rosso e il gol.

Il Capitano fa 206, supera Baggio, mette nel mirino Meazza e Altafini e si gode la sua riscossa a mezzo della maglietta celebrativa: The king of Rome is not dead. L’ascolteranno (anche) gli americani adesso la storia di quel ragazzo che voleva farsi Re, faceva il raccattapalle e sognava di vincere, con la squadra per cui aveva sempre tifato, scudetto e Coppa Campioni.

Magari contro il Liverpool, chè il passato non si dimentica. Sogna, ragazzo, sogna, intanto dice no al Milan, anche se Galliani gli offre ponti d’oro, una maglia, e un futuro da titolare nella squadra degli Invincibili, come faranno, poi, anche il Real Madrid e il Chelsea.

No, grazie, per Totti c’è solo la Roma, la sua patria, il centro del (suo) mondo, quella maglia, che è “come una seconda pelle”. Il Dieci, il codice binario del suo romanismo che mette insieme Agostino Di Bartolomei e Giuseppe Giannini, i trionfi e le lacrime, le cadute e le resurrezioni.

Uno per tutti, e tutti per Totti che si sistema la fascia al braccio, e sceglie una maglietta, “Ragazzi, carica”, una sera di novembre del 1998, per lanciare la sfida alla Lazio imperiale di Cragnotti. È il Braveheart ragazzino che trascina la gioiosa macchina da reti zemaniana alla “rimontona” del tre a tre, con gol, spogliarello, e volo sotto la Sud, mentre Franco Sensi salta per aria e urla come nemmeno a Campo Testaccio.

Altro derby, altra maglietta. Dopo quattro sconfitte, e un pareggio, la prima vittoria della Roma viene introdotta da due assist di Totti, e sigillata da un suo gol rocambolesco, con sfottò alla Rugantino impresso a fuoco vivo in un beffardo “Vi ho purgato ancora”. Dall’altra parte c’è chi non gradisce, e sono polemiche. Totti viene criticato, può decidere un derby, ma non basta per vincere. Insomma, non è mai decisivo.

Il ritornello che diventerà un capo di accusa. Totti risponde sul campo, non ci sono storie, né magliette il 17 giugno 2001, ma l’ostensione della nuda corporeità di un gladiatore redento che brandisce il Dieci come vessillo nella madre di tutte le partite da titolo, Roma-Parma 3-1.

Il Capitano del terzo scudetto si concede ad uno stadio in amore, e poi, celebra il suo, di amore, con quel “6 Unica”, in fondo ad un derby che la Roma stravince, e che Totti finisce con un cucchiaio arcobaleno. Il Re di Roma cade, si fa male, torna, diventa campione del Mondo. La bandiera tricolore in testa a Berlino, fa gli onori di casa al Circo Massimo, e immagina di tornarci presto.

Maledice i secondi posti, con Spalletti e con Ranieri, e le vittorie che potevano essere e non sono state, ma quest’anno si prende solo critiche e insulti: “È finito”. Peggio di una sentenza, una voce che si fa boato. Il Capitano come Re Lear, vecchio, stanco, e sul punto di abdicare. Un’epoca si chiude, se ne parla già al passato. Ma poi c’è sempre il campo, e un derby, per rimettere le cose a posto.

Come nelle favole, anzi meglio. Totti fa doppietta nella stracittadina, e si riprende tutto. La curva, la gloria, gli onori. “Il re di Roma non è morto”, ruggisce un cronista inglese, che lo paragona a George Best, e quella frase diventa il manifesto del terzo tempo del tottismo. Dopo Totti, ancora Totti. Da male della Roma ad Highlander, l’epopea del re che “non morirà mai” è una scritta e l’immagine di lui che fa il “ciucciotto”, e del Colosseo: il marchio della fabbrica del gol e la rivincita del gladiatore onusto di fama e di acciacchi che nella polvere della pugna e nella luce dell’arena dimostra di essere ancora il numero Dieci. Totti, come sempre. Come quella maglietta che oggi tutti hanno ripreso ad indossare.