(Il Romanista-C.Zucchelli) Maggio 2010. L’Inter di Mourinho vince la Coppa Italia all’Olimpico. I nerazzurri festeggiano. Di lì a qualche giorno si prenderanno anche la Champions.
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Così DDR ha detto no al City e a Mourinho!
(Il Romanista-C.Zucchelli) Maggio 2010. L’Inter di Mourinho vince la Coppa Italia all’Olimpico. I nerazzurri festeggiano. Di lì a qualche giorno si prenderanno anche la Champions.
Mourinho, che già ha pronte le valigie per Madrid, avvicina Daniele De Rossi negli spogliatoi. Gli dice: «Vieni con me, seguimi. E vincerai tanto ». Daniele sorride. Lusingato. Ringrazia e dice: «No».
Maggio 2011. Passa un anno. La prima stagione di Mou a Madrid non è andata come si pensava. Lo Special One, coppa nazionale a parte, deve inchinarsi a Guardiola e al suo Barcellona. Guarda e riguarda le partite del campionato italiano. Vede che il rinnovo contrattuale di Daniele De Rossi non arriva. Gli fa arrivare, ancora, il suo messaggio. Chiaro e tondo: «La mia offerta è sempre valida. Vieni al Real». Daniele sorride. Lusingato. Ringrazia e dice: «No». Giugno 2011. Sergio Berti, procuratore di De Rossi e Cerci, viene contattato dal Manchester City. L’attaccante della Fiorentina sembra a un passo dal trasferimento. Ma quando Berti si siede al tavolo per parlare, l’argomento principale è il centrocampista della Roma. I dirigenti inglesi fanno arrivare al giocatore l’offerta: 8 milioni - netti - l’anno, con possibilità di arrivare anche a 9. Mancini l’ha messo in cima alla sua lista. Lo chiama. Così come Mou gli fa arrivare i suoi complimenti, è pronto ad impostare la squadra su di lui. Addirittura ad alcuni amici italiani che lo vanno a trovare in Inghilterra spiega che ogni azione del City dovrebbe partire dai piedi di De Rossi e che è convinto che il calcio inglese sia il più adatto al suo tipo di calcio. Berti informa Daniele. Sorride. Lusingato. Ringrazia e dice: «No». Agosto 2011. I contatti con la Roma per il rinnovo del contratto entrano sempre più nel vivo. Sabatini parla con De Rossi, Fenucci fa lo stesso, Baldini è in costante contatto con Berti. Le due parti sono distanti, l’accordo economico non c’è, deve essere stabilito persino il tipo di contratto (parte fissa e variabile). La Roma però spiega chiaro e tondo a Daniele che vuole tenerlo. E che farà il massimo sforzo per andargli incontro. Daniele sorride. Lusingato. Ringrazia e dice: «Sì».
La storia del rinnovo di De Rossi con la Roma si potrebbe riassumere così. Si potrebbe riassumere con una sola parola, che è quella di un ragazzo che non si nasconde e quindi apprezza i complimenti di due tra i più importanti club d’Europa. Ma che poi sceglie, con la testa e col cuore, di restare dov’è. Non che lo faccia solo ed esclusivamente per amore, come ha ammesso lui stesso: lo fa perché crede nelle potenzialità della Roma, di una squadra e di una società che si stanno ricostruendo quasi da zero e che, nel giro di un paio d’anni, puntano a competere proprio con quei club che gli hanno offerto ponti d’oro. Non solo: De Rossi non resta alla Roma gratis. Anche questo lo ha ammesso lui stesso. Guadagnerà e anche tanto: il contratto dovrebbe essere di cinque anni e, tra parte fissa e variabile, Daniele potrebbe arrivare a sei milioni l’anno. Tanti. Magari non tantissimi se paragonati alle sterline messe sul piatto dagli sceicchi del City. In Inghilterra, in quelli che vengono definiti i salotti buoni del calcio, si è parlato molto di De Rossi. Non adesso, visto che persino Roberto Mancini se n’è fatto una ragione («resterà alla Roma», ha detto di recente), ma nei mesi scorsi. Si parlava del pressing insistente della società inglese sul ragazzo, gli allibratori erano pronti a quotare già il primo gol in Premier e c’era anche chi era convinto che De Rossi avrebbe preso casa in un elegante quartiere residenziale appena fuori Manchester. Gli hanno parlato di questo. Gli sceicchi gli hanno parlato della vita in Inghilterra, della tassazione, persino di come sono disposti i posti auto nel centro sportivo dove si allena il City (a lui, se avesse confermato il 16, gliene sarebbe capitato uno piuttosto comodo). Gli sceicchi erano pronti a trasformarlo in un uomo immagine a 360 gradi: più di Dzeko, che coi suoi gol è il simbolo del City, più di Balotelli, più di Aguero, che pure è il genero di Maradona. Chi cura la comunicazione della squadra di Mancini aveva già studiato delle iniziative su misura su De Rossi, il campione del mondo, il romano alla conquista dell’Inghilterra.
Non se ne è fatto nulla. Non se ne farà nulla. E se chiedi a Manchester come mai, la risposta è una sola. Ed è quella che De Rossi ha detto non solo agli sceicchi, ma anche a Mourinho: «Il mio cuore dice Roma». Retorica? No, realtà. De Rossi non lo ha detto soltanto a Mancini e a Mou. Lo ha detto anche ai compagni della Roma e della Nazionale. I primi li vede tutti i giorni, quegli altri più raramente. E allora li ha pure portati fuori a cena due sere fa. D’altronde a Roma il padrone di casa è lui. Tutti (o quasi) a cena a Trastevere: arrivo verso le 20.30 in taxi, maxi tavolata rettangolare, cucina romana, ritorno alla Borghesiana a mezzanotte sempre in taxi. Tanti scherzi e battute durante la cena. Di calcio si parla poco o nulla. Quando però De Rossi sta per lasciare il ristorante, qualcuno gli si avvicina. «A Danie’, resti sì?». Lui ha sorriso. E ha detto: «Sì, ’ndo vado?». Semplice semplice.
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