(La Repubblica - E.Currò) «Se non avremo il coraggio di fermarci, magari ci sarà qualcuno che ci dirà di farlo: Uefa e Fifa ci daranno delle sanzioni». Incapace di liberarsi dei violenti da almeno trent’anni, il calcio italiano rischia di finire sotto tutela, come è capitato al governo per l’economia disastrata. L’allarme è lucido e autorevole. Proviene da Prandelli, il ct che ha sdoganato gli argomenti fastidiosi. E il più fastidioso e attuale, dopo lo scandalo di Salernitana-Nocerina, è appunto la violenza. «Noi italiani ci illudiamo sempre di essere i migliori. O ci diamo una mossa o cadremo sempre più in basso. La nostra immagine non è esportabile. Si dice che da noi ci sia pressione: io parlo di ossessione. All’estero gli stadi sono popolati di bambini, qui non si può andare alla partita con serenità. Ogni partita è quella della vita». Il problema non è circoscritto alla Lega Pro: Prandelli non finge di ignorare che durante Juventus-Napoli, la vetrina della serie A, due curve dello Stadium hanno scientificamente deciso di intonare i cori che ne avrebbero comportato la chiusura, e sono state applaudite. L’attenuazione in corsa delle regole sulla discriminazione territoriale ha contribuito a questa distorsione? «La questione è molto più complessa della regola in sé: uno stadio ha deciso di autosqualificarsi. Questa non è provocazione, è di più. Nella lotta alla violenza non abbiamo fatto progressi. Se una scena mi indigna, mi alzo e esco. Ma non vedo accadere questo. Non sono ottimista». Chiede, però, di essere ascoltato. «Nella mia posizione devo essere trasparente e sincero. In quattro anni ho potuto vedere le cose in maniera diversa. Se invece sei dentro l’ingranaggio, percepisci una realtà violenta, che ti minaccia, specie se vivi in una città con la tua famiglia».
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La ribellione di Prandelli: “No al calcio ossessione”
(La Repubblica – E.Currò) «Se non avremo il coraggio di fermarci, magari ci sarà qualcuno che ci dirà di farlo: Uefa e Fifa ci daranno delle sanzioni». Incapace di liberarsi dei violenti da almeno trent’anni, il calcio italiano...
Le minacce ai calciatori della Nocerina, con l’annessa farsa dei finti infortuni e della partita sospesa, forse hanno mosso lo stagno. «Abbiamo perso tutti. Col senno di poi avremmo dovuto gestirla meglio. Non si può arrivare un minuto prima della partita e decidere. È facile dire che non si doveva giocare. È dura, quando non puoi fare il tuo lavoro. Da allenatore, se avessi due figli che vanno a scuola, forse non lavorerei in quella città. Non è un mondo civile». Ma il ct non condivide l’equazione tra ultrà e delinquenti. «Delinquente è chi, come a Nocera, si è messo la maglia da ultrà senza esserlo. Gli ultrà sono quelli che vanno prima allo stadio, preparano le coreografie, fanno collette per chi ha bisogno. Una percentuale bassissima approfitta di certe situazioni per usare il potere e minacciare. A Firenze abbiamo fatto prevenzione e in cinque anni non è successo nulla ». Ma nulla, in senso opposto, è accaduto anche dove la prevenzione si è tentata, come appunto prima del derby campano di Lega Pro, con gli incontri nelle scuole organizzati dall’Aic. In 17 anni, come dimostra un’inchiesta del ‘96 di Repubblica sulla violenza nell’allora serie C, tutto è rimasto come quando il portiere Grilli veniva invitato con la pistola a non parare o il centravanti Di Baia doveva trasferirsi perché la moglie veniva minacciata al supermercato o alcuni calciatori, al Sud, ricevevano da emissari del club il “consiglio” di rinunciare a parte dello stipendio. «La media delle denunce di minacce gravi, in Lega Pro, rimane ancora di 4-5 a stagione». Il dato dell’Aic non tiene conto di chi per paura non sporge denuncia. E rafforza l’allarme di Prandelli.
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