(La Repubblica - M.Crosetti) Non si era mai visto un presidente ignorare la direttiva di un prefetto e dire ai suoi tifosi “chi se ne frega dell’ordine pubblico, venite lo stesso alla partita”. Ma sarebbe un errore scambiare questo inaudito episodio per la consueta mattana di Massimo Cellino. Perché non si tratta solo della bizzarria di un lunatico e un po’ arrogante padrone del pallone: è invece l’ultimo atto di un calcio in caduta libera, senza controllo, senza direzione, senza governo.
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La deriva infinita
(La Repubblica – M.Crosetti) Non si era mai visto un presidente ignorare la direttiva di un prefetto e dire ai suoi tifosi “chi se ne frega dell’ordine pubblico, venite lo stesso alla partita”.
Forse, senza futuro. Il padrone del vapore che sfida le istituzioni e precipita nel ridicolo è un parente stretto di chi non si oppose, qualche mese fa, al comando degli ultras di Marassi: «Levatevi le magliette! » In fondo, Cellino è un’emanazione dello stesso sistema che l’anno scorso si mise a litigare sui calendari con il cadavere del povero Morosini ancora caldo. Anche lui, come molti suoi colleghi, pensa di essere il padreterno, e ritiene che opporsi a un rappresentante del governo sia più o meno come cacciare un allenatore. Non un caso individuale, bensì un paradigma: la vergognosa farsa di Cagliari esprime la deriva del nostro calcio, con il volto di chi rappresenta la Lega in Consiglio federale (Cellino, appunto: fino a quando?), mentre la stessa Lega non si occupa che di lucrare sempre più sul pallone, facendo soldi con le tivù: altro scopo statutario pare non esistere. E la Federcalcio, abituale convitato di pietra, apre l’ennesimo fascicolo con corollario di postuma indignazione, l’inevitabile inchiesta che prenderà polvere su qualche scrivania.
Questo è lo stato dell’arte, tra stadi inesistenti e fatiscenti più o meno come certi dirigenti - e incredibili migrazioni geografiche (il Cagliari a Trieste!), fino alla stucchevole battaglia con il comune, il sindaco, gli enti pubblici, e l’epilogo della pernacchia al prefetto. Ma se Cellino, forse non lucidissimo, si è preso certe libertà è perché sapeva di poterlo fare. Senza regole vale tutto.
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