rassegna stampa roma

Il folle inizio della nuova Roma la missione impossibile è allenare

(La Repubblica – G.Romagnoli) Esistono, va ammesso, alucni incarichi senza speranza, che tuttavia uomini di buona volontà si assumono, votandosi al fallimento uno dopo l’altro:

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(La Repubblica – G.Romagnoli) Esistono, va ammesso, alucni incarichi senza speranza, che tuttavia uomini di buona volontà si assumono, votandosi al fallimento uno dopo l’altro: negoziatore di pace in Medio Oriente, segretario del Pd, allenatore della Roma.

Non necessariamente in questo ordine. Al momento si assiste allo straordinario esordio sulla panca giallorossa del signor Garcia: un inizio tragico che sa di comiche finali.

Le altre squadre stanno andando in ritiro la Roma si sta ritirando. Oggi giorno perde un pezzo. In ordine di sparizione sono evaporati: il dirigente Fanco Baldini (tornato in Inghilterra per disperazione), il cantore Antonello Venditti (preso a lenzuolate sotto casa, quattro quinti della rosa (accusati di francazzismo), i giovane e promettente Marquinhos (promesso infatti al Psg), il sogno americano, er progetto, l’illusione, presente al raduno di qualunque vincibilissima armata, che quest’anno possa essere diverso e memorabile. Invece: pomodori verdi fritti alla partenza del treno, senza aspettare l’inevitabile deragliamento. Lo starter abbassa la pistola e comincia a sparare sugli atleti ai blocchi: De Rossi che gioca solo in Nazionale, Pjanic che non s’impegna, Osvaldo piagnone. Si salvano solo capitan Totti e il nuovo condottiero Garcia. Per un pugno di ore. Poi Totti indossa perplesso la nuova uniforme e annuncia “Con questa ho chiuso”. E Garcia si suicida in pubblico “Chi contesta è laziale”. Apriti cielo, ce ne fosse ancora uno sopra la Roma. Hanno cancellato pure quello purtroppo: troppo biancazzurro, troppo lontano, l’infame sta là e non scendeva mai.

E’ sceso il francese Garcia, invece. Un Gallo alla conquista di Roma che rischia la fine del pollo. L’uomo appare tosto e determinato, ma la Storia è più potente di ogni singolo ingegno. E racconta che allenare la Roma provoca guai, ammazza f, cancella perfino i ricordi più belli. Andreazzoli era una pprezatissimo tattico di Trigoria, ora è il sinonimo di un’onta secolare. Zeman era una leggenda da tramandare ai più piccini, finché non l’hanno visto sbriciolarsi sotto i loro occhi. Rudy Voeller era stato una gloria in campo, in panchina durò quattro giornate e se ne andò dopo una sconfitta ridicola a Bologna diccendo 2Ho visto che era impossibile applicare i miei metodi alla squadra”.

Luis Enrique ha preferito star fermo un anno piuttosto che continuarsi a farsi del male. Mazzarri e Allegri messi davanti a conratti di lusso, hanno scelto meno soldi, il grigiore di Milano, l’insipienza di Moratti e l’invadenza di Berlusconi. Piuttosto che finire triturati come Del neri esiliati come Ranieri, incompresi come Montella. La missione impossibile è riuscita parzialmente a capello (prima di una fuga notturna verso Torino) e a Spalletti che in salvo a San Pietroburgo manda a dire a Garcia “Ha il mio apporto morale e spirituale. A Roma ci sono tiratori scelti” Totalmente ce la fece solo il Maestri Nils Liedholm capace di freddezza e disincanto e soprattutto pevaso da un senso di superiorità così esibito da non essere percepito. Gli altri: un cedimento, un’indecisione e sono morti. Che cosa li uccide? Il clima, l’ambiente, le radio, la curva, la stampa, il cuore della città, la città senza cuore. Tutte verità e tutti alibi.

La città eterna che pigra osserva la lancetta dei millenni, rovescia furiosamente la clessidra davanti alla squadra che ne porta il nome. Può aspettare irridente nei secoli l’apposizione di un ciottolo o la riforma di un codicillo, ma alla prima sconfitta in Romania un aedo alza la voce e chiede che il condottiero sia fucilato alla frontiera. E tutta la curva fa pollice verso. Ce ne vuole subito un altro per fargli fare la stessa fine. Non appena la Roma annuncia un nuovo allenatore scatta lo stesso meccanismo: delegittimazione come prova di forza. Alla rivelazione del nome parte la caccia al soprannome. Hai voglia a spiegare che Garcia ha l’accento sull’ultima “a” resta il sergente panzone che si fa fregare da Zorro. Se il mister viene da fuori se ne rderidono la provenienza e l’accento. Ma perfino se arriva da Testaccio si fa ironia sugli stessi argomenti. Prendersela, reagire, significa soccombere. Uno contro una città: partita segnata. Quel che Roma cerca, nel calcio come in ogni altro campo, è il padre forte, quello che l’offesa je rimbalza, se convincere prima di vincere, mette in riga i figli e le curve. Uno che sia più duro della pietra millenaria e più figlio di buona donna di santi e ladri protetti della regina dei cieli. Che questo papa straniero sia Rudi Garcia sarebbe bello, ma già quasi impossibile.